di Céline Camoin
Sabato 16 e domenica 17 novembre andrà in scena a Roma, in occasione del Romaeuropa Festival 2024, presso l’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, lo spettacolo How in salts desert is it possible to blossom… della coreografa sudafricana Robyn Orlin, che si racconta alla nostra rivista. L’opera esplora identità e resistenza della comunità di Namaqualand, in Sudafrica. Realizzato con il Garage Dance Ensemble, riflette sul passato coloniale e sulle sfide dei “Coloureds”, accompagnato dalla musica del duo UkhoiKhoi.
Esiste una zona sudafricana soprannominata “deserto fiorito”, per le sue distese di “pietre viventi”, i conophytum, dalle quali spuntano stagionalmente meravigliosi fiori colorati somiglianti a margherite. È la regione del Namaqualand, a cavallo tra Sudafrica e Namibia, tristemente nota per le difficili condizioni di vita dei suoi abitanti. È proprio da lì, e più particolarmente da O’Kiep, nella provincia del Capo Settentrionale, che sboccia l’ultimo spettacolo della coreografa sudafricana Robyn Orlin, “…How in salts desert is it possible to blossom….”, ospite del Romaeuropa Festival 2024 con due rappresentazioni, sabato 16 e domenica 17 novembre presso l’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone.
Lo spettacolo, che unisce danzatori, attori e musicisti, nasce dalla collaborazione tra Robyn Orlin e il Garage Dance Ensemble, compagnia basata a O’Kiep. “Conoscevo già da tempo il direttore artistico, Alfred Hinkle, dal quale ho ricevuto un invito ad andare a fare un workshop per la sua compagnia. I partecipanti non sono numerosi, ma stanno facendo un lavoro molto, molto importante nella comunità e professionalmente parlando”, ci racconta Robyn Orlin. Dall’incontro molto particolare con la comunità locale nasce un’idea di collaborazione per uno spettacolo che accenda i riflettori sulla difficile condizione ereditata dagli autoctoni e dalla nuova generazione, attaccata alle proprie radici, al popolo Nama e KhoiKhoi, ma desiderosa di trovare il proprio posto nella società e nel mondo. Di risorgere come un raggio di sole, proprio come le piantine preziose, che dalla terra avvelenata fioriscono dando vita a uno sbalorditivo spettacolo della natura. “All’inizio del mio lavoro con i ballerini, ho chiesto loro di cosa avrebbero voluto parlare. Dopo un imbarazzato silenzio, hanno risposto: Vogliamo solo dire chi siamo e come celebriamo la vita”.
“Provengono da un contesto che è stato distrutto, devastato dall’oppressore, dal colonizzatore, dalle compagnie minerarie di rame che sono arrivate, e poi se ne sono andate senza lasciare nulla se non una terribile tossicità derivata dalle attività estrattive. L’elettricità va e viene, il clima semi arido è pesante, e si combatte anche la sindrome alcolica, un’altra oscura eredità lasciata dal passato dell’apartheid, quando i proprietari terrieri bianchi pagavano i contadini locali non con denaro, ma con liquori”, ricorda Robyn Orlin. Sensibile, empatica, e da sempre insofferente alle ingiustizie e alle discriminazioni, l’artista trasmette un autentico desiderio di riscatto da parte di questa comunità. Coloureds, è così che vengono anche identificati in basa alla tonalità della pelle, non erano abbastanza bianchi ai tempi del regime segregazionista. Oggi, non sono abbastanza neri per la nuova classe dirigente. Molto è stato detto e scritto sulla condizione di “Coloureds”, ma molto poco è stato fatto finora.
“C’è ancora così tanto danno in Sudafrica a causa dell’apartheid”, deplora Orlin, figlia di rifugiati scappati dall’Europa dell’Est tra la prima e la seconda guerra mondiale, ora basata a Berlino, da dove ha risposto alla nostra intervista alla vigilia del viaggio per l’Italia. “Le divisioni in Sudafrica sono ancora forti – dice – c’è una classe media nera, una classe medio-alta che è molto ricca e questa gestisce il Paese. Purtroppo non nella maniera che si sperava. Abbiamo a che fare con dirigenti avidi, che hanno rovinato il Paese, e mi fa soffrire vedere questa situazione. Vivere è una lotta quotidiana per molti sudafricani”.
Nel mondo dello spettacolo e della danza in particolare, è ancora più difficile. “Per me durante l’apartheid era impossibile – Robyn è sempre stata schierata contro il regime – e dopo che l’apartheid è stato smantellato, essendo bianca, non potevo accedere finanziamenti, se non briciole, anche se lavoravo in strutture politiche. Ma è molto dura. E ora c’è sicuramente una sindrome anti-bianchi e anti-colorati, poiché i neri sudafricani stanno davvero cercando un’identità, è per loro un’ossessione”.
Vivere di danza come professionista in Sudafrica è impossibile, “anche se esistono buone accademie di formazione, come ad esempio all’Università di Pretoria e a quella di Città del Capo. Il problema è quando i giovani escono, non trovano lavoro. D’altronde, anche in Europa è difficile”. Ostacoli di natura economica fanno pensare a Robyn che sarà difficile portare il suo ultimo spettacolo in Sudafrica, soprattutto nella zona di Okiep.
“Come è possibile fiorire in un deserto di sale?” È una rappresentazione di danza teatro che fa riflettere sulle idee di potere, di gerarchia sociale e di privilegio. Parte integrante dello spettacolo è il duo di musicisti UkhoiKhoi, che fa entrare lo spettatore in un universo musicale multisensoriale. La band di musica elettronica indigena, caratterizzata dal live looping, è formata dal musicista e compositore Yogin Sullaphen e la cantante e artista Anelisa Stuurman. Il duo è molto speciale agli occhi di Robyn Orlin, ed è infatti la seconda collaborazione dopo il precedente spettacolo “We wear our wheels with pride and slap your streets with colour… we said ‘bonjour’ to Satan in 1820”. Yogin proviene da un background di eredità mista, con un padre indiano sudafricano e una madre coloured. Annalizer, il nome d’artista di Anelisa, sebbene con un cognome Afrikaans, ha origini zulu e parsi. Il duo ha sede a Johannesburg, in Sudafrica, e ha unito le forze a metà 2019. Il loro nome è un’ode alla loro comune eredità KhoiSan.
Note biografiche:
Robyn Orlin: nata nel 1955 a Johannesburg, si è prefissata di sviluppare la sua pratica e la sua cultura coreografica in un ambiente privo di qualsiasi discriminazione, anche estetica: dalle danze zulu a Merce Cunningham, dall’hip-hop al balletto classico…qualunque forma di danza è, per lei, benvoluta. Non a caso, l’eclettismo estetico e un certo “universalismo” coreografico e musicale sono tratti distintivi delle sue creazioni. Formatasi alla London School of Contemporary Dance (1975-1980), poi alla School of the Art Institute of Chicago (1990-1995), Robyn Orlin ha iniziato la sua carriera di danzatrice, coreografa e insegnante in Sudafrica, dove è stata subito notata tanto per la singolarità della sua scrittura quanto per il suo impegno attivo nella lotta contro l’apartheid. All’inizio del nuovo millennio, il suo pluripremiato “Daddy, I have seen this piece six times before and I still don’t know why they’re hurting each other (Ho già visto questa pièce sei volte e ancora non so perché si fanno del male a vicenda)”, ritraeva le difficoltà e le carenze della giovane nazione arcobaleno. La Francia è presto diventata per lei un territorio creativo: qui ha realizzato il suo primo film, “Hidden Beauties, Dirty Stories” (Ina/Arte, 2004), la sua prima opera, “L’Allegro, il penseroso ed il moderato” di Handel (Opéra Garnier, Parigi, 2007), numerosi assoli per interpreti di diversa provenienza e la sua prima produzione teatrale, “Les Bonnes”, di Jean Genet (Théâtre de la Bastille, Parigi, 2019). Contemporaneamente ha continuato a lavorare in Sudafrica, dove ha creato “Still Life with homeless…” per la compagnia Via Katlehong (2007), “Walking next to our shoes…” con i cantanti-danzatori del “Phuphuma Love Minu”s (2009), “Beauty remained for just a moment…” (2012) e “we wear our wheels with pride… (2021)” con la compagnia Moving into Dance. L’universo di questa prolifica artista è contraddistinto, dalla mescolanza di forme, espressioni e generi, dalla gioiosa confusione che crea sul palco e nel pubblico dei suoi spettacoli, dal suo carattere critico e politico e dalla sua forte componente plastica.
Garage Dance Ensemble: da quando sono tornati a O’Kiep da Città del Capo nel 2010, dopo aver guidato la compagnia di danza contemporanea più importante del Sudafrica, il Jazzart Dance Theatre, Alfred Hinkel e John Linden (due veterani con 40 anni di esperienza ciascuno nel settore) hanno creato una nuova compagnia professionale (Garage Dance Ensemble) con l’obiettivo di sviluppare e impiegare le competenze artistiche, tecniche e amministrative di persone provenienti dalla regione del Namaqualand. La compagnia è nota per la formazione di danzatori di alto livello, per la creazione di produzioni originali di teatro-danza di rilevanza socio-culturale, di opere/film/risorse digitali innovative e per il contributo allo sviluppo della comunità. Negli ultimi dieci anni, Garage ha formato 8 danzatori professionisti che sono tutti in attività e considerati di alto livello dagli operatori del settore. Per Garage Dance Ensemble ogni individuo ha il diritto e l’opportunità di vivere ed esprimersi attraverso la danza e la performance. La missione della compagnia è quella di essere un veicolo di impatto positivo nella regione del Capo Nord, concentrandosi principalmente sulle comunità Nama-Khoi, tra cui O’Kiep, Nababeep, Matjieskloof, Bergsig, Springbok e Concordia. Il lavoro della compagnia, attraverso lo spettacolo, l’insegnamento, lo sviluppo di competenze e la ricerca, afferma e talvolta sfida le pratiche sociali e i sistemi di credenze delle comunità circostanti. Fondamentalmente, Garage fornisce accesso alle discipline artistiche e contribuisce allo sviluppo e all’espansione delle arti dello spettacolo nella regione di Namakwa e, più in generale, in Sudafrica.