Un omicidio spietato, che ha visto quattro killer sparare cinque pallottole contro una donna 65enne, ha come vittima e protagonista Mama Fikile Ntshangase, attivista a tutela dell’ambiente e della comunità di Mfolozi, nel nordest del Sudafrica. La sera del 22 ottobre, i sicari hanno fatto irruzione nell’abitazione della donna, a Ophondweni, vicino Mtubatuba, con il compito di eliminarla.
A oltre due settimane dal crimine, non è stato comunicato alcun arresto e poco si sa dell’indagine ufficiale. Per le fonti vicine alla vittima e per le associazioni ambientaliste, il movente non è però un mistero, e va cercato nell’impegno di Mama Ntshangase contro l’espansione della miniera di carbone di Somkhele.
L’uccisione dell’esponente della Mfolozi Community Environmental Justice Organisation (Mcejo) segue infatti un’escalation di tensioni tra gli abitanti dei villaggi di Somkhele e l’azienda sudafricana Tendele Coal Mining Ltd. L’attivista si era fatta portavoce di un gruppo della società civile contro il progetto di allargamento della miniera di antracite verso i confini della riserva naturale di iMfolozi-Hluhluwe Game Park, nella parte settentrionale del KwaZulu-Natal. Ai residenti l’azienda propone una compensazione per andarsene e lasciare libera allo sfruttamento estrattivo intensivo un’area molto vicina a un corso d’acqua naturale. Mama Ntshangase era stata oggetto di pressioni per far firmare le ultime famiglie, pare persino dietro proposta di una tangente. Le era stato anche chiesto di firmare il ritiro di un’azione legale contro la ditta. «Ho rifiutato di firmare. Non posso vendere la mia gente. Sono pronta a morire per loro», aveva detto l’attivista, come se fosse stata già consapevole del destino che l’attendeva.
La miniera a cielo aperto di Somkhele è operativa dal 2007 in un distretto, quello di uMkhanyakude, noto per problemi di carenza idrica. L’attività estrattiva ha aggravato questa situazione, fino al culmine del 2016, quando i residenti locali furono completamente privi di acqua per alcune settimane. La Commissione sudafricana per i diritti umani (South African Rights Commission, Sahrc), che chiede di fare luce sul crimine, ricorda che Ntshangase aveva denunciato la Tendele, una filiale della Petmin, davanti alla Corte Suprema d’Appello mettendo in dubbio la legalità delle sue autorizzazioni ambientali e le sue attività su una porzione particolare di terreno.
La Tendele Mining, dal canto suo, sostiene che il proprio operato è fondamentale per l’economica della regione, garantendo numerosi posti di lavoro. La Tendele è il principale fornitore di antracite, di cui vende circa 730.000 tonnellate all’anno ai clienti locali. In una lettera al Daily Maverick, il direttore della compagnia, Jan du Preez, ha riferito che 128 famiglie avevano accettato lo sfratto dietro compensazione sin dall’inizio della procedura nel giugno 2017.
La Sahrc «considera l’uccisione di Ntshangase una minaccia alla creazione e all’esistenza di un ambiente sereno e sicuro per i difensori della giustizia sociale, ambientale e del diritto alla terra». L’Ong sudafricana GroundWork ha rivolto una lettera al presidente della Repubblica Cyril Ramaphosa e al ministro responsabile della Polizia Bheki Cele per chiedere un’investigazione urgente, una maggiore tutela per i difensori dell’ambiente e la fine dell’impunità per i reati delle grandi aziende.
Friends of the Earth International, che condanna l’omicidio, denuncia un aumento, in Africa, degli abusi contro i difensori dell’ambiente e dei diritti dei popoli alla propria terra. «Mentre le persone subiscono le conseguenze sanitarie e le restrizioni legate alla pandemia di covid-19, le grandi aziende internazionali continuano a espandere le proprie attività estrattive, sia ne settore minerario che degli idrocarburi, attraverso il continente. Non prendono in considerazione le domande e i diritti delle comunità locali, che a turno devono far fronte a evacuazioni coatte, limitazioni d’accesso alle proprie terre, uccisioni e cambiamenti climatici, conseguenze dirette dello sfruttamento delle risorse del sottosuolo. Gli Stati e i governi, che dovrebbero proteggere i cittadini, sono sempre più catturati dall’influenza dei grandi gruppi, lasciando che i difensori siano vittime di intimidazioni, uccisioni, sequestri e arresti. Mentre le multinazionali agiscono per indebolire le legislazioni nazionali e i popoli lottano per l’accesso alla giustizia, è l’impunità che prevale».
(Céline Camoin)