La nazionale sudafricana di rugby avrà un capitano di colore. Si chiama Siya Kolisi ed è terza linea degli Stormers. Rassie Erasmus, neo-allenatore degli Springboks (come viene chiamata la nazionale), ha spiegato che «Siya è un grande lavoratore, e si è guadagnato il rispetto di tutti i suoi compagni. Essere capitano è un grande onore, sono certo che Siya sarà all’altezza del ruolo».
Kolisi, 26 anni, 28 presenze con la maglia verde dei «Bokke», a partire dall’incontro del prossimo mese contro l’Inghilterra nei test match estivi prenderà il posto dell’infortunato Warren Whiteley, mentre per il test match di sabato prossimo contro il Galles a Washington il capitano sarà, una tantum, Pieter-Steph du Toit.
Di Kolisi sarebbe fiero Nelson Mandela, il padre del nuovo Sudafrica che nei Mondiali del 1995 «sdoganò» il rugby – che aveva fama di sport per «soli bianchi», e legato all’establishment razzista – come disciplina unificante di tutto il Paese Arcobaleno, legittimando la fine del bando internazionale. Una storia raccontata anche dal film «Invictus», girato da Clint Eastwood e nel quale Matt Damon interpreta il capitano Francois Pienaar.
Di quella squadra, che vinse la Coppa in una leggendaria finale contro gli All Blacks neozelandesi, giocava il coloured Chester Williams, il terzo giocatore non bianco a indossare la maglia degli Springbok dopo Errol Tobias e Avril Williams, suo zio.
Negli anni più recenti, segnati anche dalle polemiche sulle «quote nere» che la politica ha spesso voluto imporre alla dirigenza sportiva, alcuni fuoriclasse di colore hanno fatto la storia degli Springboks: in particolare Brian Habana, recordman per mete segnate in un Mondiale (15 nel 2007 quando il Sudafrica vinse il suo secondo titolo), e JP Pietersen, oltre al famoso pilone Tendai Mtawarira, detto “The Beast” per la sua forza e aggressività.
Mahlatse Chiliboy Ralepelle è stato il primo nero capitano del Sudafrica under 21, Pieter De Villiers il primo ct nero degli Springboks, ora con Kolisi cade un’altra barriera simbolica.