Sei ore di riunione a porte chiuse non sono bastate all’esecutivo dell’African National Congress per raggiungere una decisione sulle dimissioni del presidente Sudafricano Jacob Zuma. Le dimissioni dovevano già arrivare la settimana scorsa ma poi, all’ultimo minuto, la riunione dell’esecutivo è stata spostata di una settimana, a lunedì di quella successiva. Nei sei giorni che sono intercorsi tra una riunione e l’altra Jacob Zuma ha tenuto testa alle pressioni di quanti chiedono le sue dimissioni. In primo luogo il neo eletto leader dell’African National Congress Cyril Ramaphosa che, secondo la consuetudine, dovrebbe divenire il prossimo presidente del paese dato che il leader dell’African National Congress coincide, da quando è finito l’apartheid, con il presidente del Sudafrica.
Ovviamente se l’African national Congress rimane il partito di maggioranza assoluta (nelle ultime elezioni si è attestato intorno al 60%, seppure con gravi perdite di consenso rispetto alla precedente consultazione).
Il problema è proprio questo. Il neo eletto Cyril Ramaphosa vuole arrivare alle elezioni del 2019 senza Zuma. La sua presenza potrebbe compromettere gravemente il risultato elettorale dato che sul capo dell’attuale presidente sudafricano pemdono 378 capi di accusa per corruzione, truffa, malversazione. Lo scandalo più grosso che lo ha coinvolto è quello relativo alla spesa di 30 milioni di dollari per la ristrutturazione della sua fastosa villa presidenziale.
Nonostante tutto questo l’African National Congress non è riuscita a chiedere le dimissioni di Zuma e rischia di arrivare al 2019 con un così ingombrante e scomodo personaggio nel partito. Un analista televisivo sudafricano alla notizia che l’ANC non ha raggiunto una decisione sulle dimissioni del presidente ha detto che Zuma non è solo il capo dello stato e un leader dell’ANC, ma è anche il capo di un vero e proprio sistema di potere attraverso il quale riesce ad avere un seguito importante.
Ora la riunione dell’esecutivo è stata aggiornata di qualche ora ma a detta di molti membri un accordo è ancora lontano se mai lo si raggiungerà.
In tutto questo Zuma dovrà affrontare anche un voto di fiducia del parlamento in programma per il 22 marzo. Tre le opzioni, dunque: la prima che sarà il parlamento a mandare a casa Zuma, la seconda che lo farà il suo partito. La terza che non lo farà nessuno, almeno fino al 2019.
(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)