La ricca e diversificata presenza di riserve minerarie in Sudafrica ha generato uno tra i business più remunerativi per il Paese. Tuttavia, la situazione lavorativa nel settore minerario è stata associata agli aspetti più controversi del dominio coloniale e dell’apartheid e continua ad essere contaminata da violazioni dei diritti umani.
di Claudia Rampulla
L’industria mineraria rappresenta una pietra miliare per l’economia africana. L’estrazione, la lavorazione e la commercializzazione dei metalli segnano la storia dell’Africa e delle sue relazioni internazionali. In tutto il continente, infatti, risorse minerarie molto diversificate – concentrate principalmente nell’Africa occidentale e centro-meridionale – hanno attratto investitori stranieri, avviando il business estrattivo e creando nuove opportunità di lavoro.
Il primo Paese ad attirare l’interesse internazionale sulle proprie risorse fu l’attuale Sudafrica, in cui tra il 1867 e il 1870 furono scoperti importanti giacimenti diamantiferi nel Griqualand e a Kimberley, e più tardi, nel 1886, furono individuate riserve d’oro nel Transvaal. Tali scoperte sconvolsero completamente lo scenario politico ed economico della regione, sancendo, con la rivoluzione dei minerali, la storia del moderno Sudafrica. La scoperta dei giacimenti, infatti, acuì la bramosia della potenza dominante, il Regno Unito, che avviò un espansionismo aggressivo sul territorio, scontrandosi sia con le popolazioni indigene, sia con i coloni boeri, e portando di fatto all’unificazione sudafricana, completata nei primi anni del Novecento.
Dal boom minerario all’apartheid
Il boom minerario ebbe conseguenze importanti anche in termini di urbanizzazione, di sviluppo infrastrutturale e di migrazioni. La scoperta dei giacimenti auriferi portò, infatti, alla fondazione di Johannesburg, nel 1886. La nuova città, il cui nome, non a caso, significa “luogo d’oro” in lingua zulu, già nel 1911 contava circa 240 mila abitanti, mentre la regione del Witwatersrand, nel Transvaal, ne ospitava complessivamente il doppio. Il nuovo settore estrattivo creò una domanda di manodopera senza precedenti e segnò per il Sudafrica l’inizio del capitalismo moderno. Le miniere di diamanti crearono immediatamente un enorme giro d’affari che, però, venne presto superato dalla scoperta dei giacimenti auriferi. Nonostante l’oro scoperto fosse di bassa qualità e di difficile estrazione, rappresentava comunque un’enorme ricchezza in un contesto monetario basato sul gold standard. Pertanto, oltre all’urgenza di unificare il Paese al fine di dargli un quadro normativo uniforme e al bisogno di infrastrutture capaci di sorreggere il business minerario, la potenza imperiale britannica necessitava anche di un massiccio flusso di manodopera locale a basso costo e di manodopera specializzata proveniente dall’estero.
Così negli anni Trenta, circa il 40% della manodopera mineraria proveniva dai Paesi vicini. Le miniere divennero luoghi di lavoro in cui iniziò a radicarsi la politica segregazionista che verrà poi alimentata dal regime dell’apartheid. Si sviluppò il sistema della manodopera migrante, per il quale ciclicamente giovani lavoratori africani maschi fisicamente prestanti venivano trasferiti verso i centri di estrazione. Il diritto di proprietà fu affidato ai farmer bianchi, mentre i lavoratori che avevano il compito di scendere nelle miniere a scavare erano tutti neri, in quanto ritenuti meno qualificati. Tale discriminazione si rifletteva anche a livello salariale: nel 1898, un lavoratore bianco percepiva in media un salario dieci volte superiore a quello di un lavoratore nero.
Le lotte per i diritti
I primi scioperi dei lavoratori neri, tra gli anni Dieci e gli anni Venti, furono fallimentari. Un nuovo sciopero, nell’agosto del 1946, fu represso nel sangue, spaventò l’elettorato bianco e radicalizzò le politiche di apartheid. Negli anni successivi, la storia del sindacalismo nero si legò sempre più a quella dell’African National Congress e delle lotte di liberazione.
La comunità internazionale varò una serie di sanzioni al regime segregazionista sudafricano e l’apartheid fu dichiarata nel 1976 crimine internazionale dalle Nazioni Unite e fu successivamente inserita nella lista dei crimini contro l’umanità. Si cercò, dunque, di curare le piaghe causate dalla politica discriminatoria già negli anni Ottanta, anche se il processo di sradicamento di decenni di pratiche razziste richiese molto più tempo. A seguito del rapporto del 1995 della Leon Commission of Inquiry in Health and Safety in Mines, il Parlamento nel 1996 approvò il Mine Health and Safety Act (Mhsa), volto a migliorare le condizioni di salute e sicurezza dell’industria mineraria. All’interno di tale documento si stabilisce che tutti i lavoratori in miniera hanno diritto alla rappresentanza e alla partecipazione, all’istruzione e alla formazione, all’informazione in materia di salute e sicurezza e ad abbandonare un luogo di lavoro ritenuto pericoloso. La legge impone al datore di lavoro l’obbligo di fornire ai lavoratori una formazione sufficiente sui rischi e sui pericoli per la salute e la sicurezza in miniera e su come farne fronte, e gli affida anche il compito di fornire sufficienti dispositivi di protezione individuale a tutti i lavoratori e di registrare periodicamente lo stato di salute dei propri dipendenti.
Le vittime
Nonostante ciò, tuttavia, i lavoratori delle miniere continuano ad essere esposti a una serie di rischi per la loro sicurezza: caduta di massi, inalazione di polveri, rumore intenso, fumi e alte temperature, tra gli altri. Molti minatori soffrono anche di malattie come la silicosi e la tubercolosi. Per quanto riguarda i salari, gli stipendi sono generalmente alti per i lavoratori altamente qualificati, come ingegneri e manager, ma possono essere molto bassi per i minatori che ricevono una formazione sul posto di lavoro e che hanno un’istruzione limitata. Neppure le loro condizioni di vita e quelle delle loro famiglie risultano migliori: vivono in baracche di lamiera ammassate l’una sull’altra fuori dalle miniere, spesso senza acqua, luce né servizi igienici.
Gli incidenti in miniera sono molto frequenti, per una media di circa cento morti l’anno tra i minatori. Non sempre si tratta di vittime mietute dalle miniere stesse. Nel 2012, per esempio, nella miniera di platino della Lonmin Plc di Marikana, nella provincia nord-occidentale del Sud Africa, il Servizio di polizia sudafricano (Saps) sparò contro i minatori che manifestavano per un salario più alto e migliori condizioni di lavoro. In tale episodio si contarono 34 morti e circa 70 feriti.
Ancora, le vittime delle miniere sono ricollegabili anche a un altro fenomeno ampiamente diffuso, ossia quello delle miniere illegali. Si tratta di giacimenti dismessi, dichiarati insicuri e, quindi, chiusi. Tale chiusura genera una nuova corsa all’oro, causata dal progressivo esaurirsi delle risorse in Sudafrica e, quindi, dal calo della produzione. Oggi, infatti, il Sudafrica non è più leader mondiale della produzione dell’oro, sebbene detenga circa il 35% delle risorse aurifere del pianeta: le riserve iniziano ad esaurirsi e ciò comporta rilevanti perdite di posti di lavoro. La perdita del lavoro ha aggravato le condizioni di vita dei minatori, i quali rischiano quotidianamente di morire pur di trovare una pepita d’oro a cui aggrapparsi per sopravvivere.
(Claudia Rampulla – Amistades)
Fonti:
- Info Mercati Esteri: https://www.infomercatiesteri.it/materie_prime.php?id_paesi=29
- Lanzano C., Dall’età del ferro ai “blood diamonds”. Inquadramento storico-politico delle risorse minerarie in Africa sub-sahariana, Ori d’Africa: terra, acqua, risorse minerarie ed energetiche, p.55-77.
- South Africa: Five years on, Marikana victims still wait for justice: https://www.amnesty.org/en/latest/news/2017/08/south-africa-five-years-on-marikana-victims-still-wait-for-justice/
- South African Government: https://www.gov.za/documents/minerals-and-mining-policy-south-africa-green-paper
- Storia e geopolitica sudafricana: https://www.limesonline.com/cartaceo/storia-e-geopolitica-sudafricana