In Sudafrica c’è una cittadina abitata solo da bianchi afrikaners, come ai tempi dell’apartheid. Gli abitanti di Orania sono tutti sudafricani di origine olandese, parlano la lingua afrikaans e celebrano con nostalgia i leader storici boeri che crearono le leggi segregazioniste.
di Enrico Casale – foto Afp
I neri? «Non abbiamo nulla contro di loro, ma qui abitano solo bianchi». Mandela? «È venuto da noi, ma preferiamo ricordare Verwoeder». Il rand? «Lo utilizziamo, ma abbiamo la nostra moneta». L’inglese? «Non è la nostra lingua». Benvenuti a Orania, l’ultima enclave interamente e orgogliosamente afrikaner del Sudafrica. Una micro-volkstaat, cioè un piccolo Stato boero, a metà strada fra Città del Capo e Johannesburg. Le accuse di razzismo non toccano gli abitanti, che ribattono proclamando il loro desiderio di autonomia e di selfwerksaamheid (autosufficienza).
Razzisti a chi?
La storia di questa anomalia del Sudafrica moderno inizia nel 1990, quando l’apartheid è in vigore e la popolazione nera è ancora discriminata. Nel dicembre di quell’anno un gruppo di una quarantina di famiglie afrikaner (cioè discendenti dai primi colonizzatori di origine olandese, francese e tedesca) acquista un lotto di 430 ettari sulle sponde del fiume Orange. Per i Boeri è una località leggendaria: da queste parti i loro avi combatterono gli inglesi. E poi è una zona ricca d’acqua, con un terreno fertile. Guidati da un certo Carel Boshoff, genero di Hendrik Frensch Verwoerd, considerato l’architetto del sistema di apartheid in Sudafrica, formano una piccola comunità che, con la fine della segregazione, si isola sempre di più. Le regole per chi ne vuole far parte sono molto rigide. I residenti devono essere veri Afrikaner, cioè discendenti dei Boeri, devono parlare correntemente l’afrikaans e, soprattutto, essere bianchi.
I fondatori rifiutano l’etichetta di razzisti. Nella loro visione Orania vuol essere solo un luogo in cui preservare la cultura afrikaner. Prinsloo Potgieter, un leader della comunità, la descrive come una risposta al fatto che «la nostra cultura è oppressa e ai nostri figli si fa il lavaggio del cervello affinché si abituino a parlare inglese». Carel Boshoff Jr, figlio del fondatore, aggiunge: «Non siamo contro la gente nera, ma vogliamo essere noi stessi. Dobbiamo pensare al nostro futuro di Afrikaner».
L’orgoglio ritrovato
Dal punto di vista legale non si sentono fuorilegge. I cittadini di Orania invocano l’articolo 235 della Costituzione, che riconosce «il diritto all’autodeterminazione di ogni comunità con una propria cultura e lingua». E infatti le autorità sudafricane non solo non si sono opposte alla presenza di Orania, ma hanno indennizzato alcune famiglie di colore che vantavano diritti su quelle terre. Nel 1995, lo stesso Nelson Mandela ha visitato la cittadina e ha preso un tè con Betsie, la vedova di Verwoerd. Quest’ultima, però, al termine dell’incontro disse al Presidente: «Mi identifico con la volontà del mio popolo di avere un proprio Paese, che credo possa svilupparsi come parte del Sudafrica». Oggi Orania, abitata da 400 famiglie, vive di agricoltura (si coltivano soprattutto noci pecan). Il turismo è però in forte crescita. Ma tutto in un’ottica di autosufficienza. Gli abitanti non vogliono manodopera che non appartenga alla comunità afrikaner. Il simbolo della cittadina è un giovane boero che si rimbocca le maniche. «Siamo quasi autosufficienti – dicono oggi gli abitanti –. Cerchiamo di fare tutto noi, niente lavoratori neri: perché l’errore dell’apartheid è stato proprio quello di far lavorare altri al posto nostro».
Valori da difendere
L’autonomia economica si spinge fino al punto di battere una propria moneta, che si chiama ora e ha una circolazione parallela a quella del rand sudafricano. È emessa dalla locale banca e, al momento, può essere spesa solo negli esercizi commerciali locali.
L’autonomia vuole essere anche culturale. A Orania funzionano due scuole. In entrambe vengono seguiti i programmi scolastici ufficiali sudafricani, ma mettendo maggiore enfasi sulla storia boera e sui valori cristiani. L’ideologia boera viene poi diffusa attraverso un’emittente locale. Si chiama Radio Club 100. Accusata di razzismo e fatta chiudere, nel 2009 ha ripreso a trasmettere grazie a una licenza concessa dalle autorità sudafricane. Dal punto di vista politico, gli abitanti di Orania si riconoscono nel Movimento Orania, un partito che si impegna per la salvaguardia delle minoranze in Sudafrica. A partire, ovviamente, da quella boera. Su questo punto non ci sono fraintendimenti. La statua di Verwoerd, portata qui da Pretoria per salvarla dalle devastazioni che hanno colpito molti monumenti di eroi boeri, è lì, bene in vista, a ricordarlo.
Questo articolo è uscito sul numero 6/2015. Per acquistare una copia della rivista, clicca qui, o visita l’e-shop.
La storia in breve
Anche se ufficialmente nato nel 1948, l’apartheid, il sistema di segregazione razziale in vigore in Sudafrica fino al 1994, ha radici profonde che risalgono agli inizi del secolo scorso. È nel 1913 che vede infatti la luce il Natives Land Act, una normativa discriminatoria che vietava agli indigeni l’acquisto di terre al di fuori di alcune riserve. A questa legge ne sono seguite altre simili negli anni Trenta. Ma è nel 1948, quando il Partito nazionalista prende il potere, che il sistema di discriminazione viene rafforzato attraverso una serie di provvedimenti legislativi che fissano una rigida separazione razziale della popolazione. A partire dagli anni Sessanta, l’apartheid (parola olandese che significa «separazione») viene condannata più volte dall’Onu.
Dalla metà degli anni Ottanta la comunità internazionale vara una serie di sanzioni per far pressione sul Sudafrica affinché abolisca le discriminazioni. La fine della segregazione inizia nel 1990, quando, a conclusione di un difficile e complesso dialogo, Frederik Willem de Klerk, leader della minoranza bianca, e Nelson Mandela, capo dell’African National Congress (Anc), si accordano per organizzare nel 1994 le prime elezioni a suffragio universale. La vittoria dell’Anc porta a un progressivo smantellamento dell’apartheid.
“L’eroe” boero inventore dell’apartheid
Gli storici sono concordi nel definirlo il vero creatore del sistema dell’apartheid. Hendrik Frensch Verwoerd (1901-1966) era nato in Olanda. I suoi genitori si trasferirono in Sudafrica quando era piccolissimo e lui crebbe in Africa all’interno della comunità boera, con la quale andò via via identificandosi. Dopo gli studi di psicologia iniziò a insegnare nell’Università di Stellenbosch. Parallelamente entrò in politica distinguendosi come uno dei più intransigenti sostenitori del programma di segregazione del Partito nazionalista.
Eletto senatore nel 1948, due anni dopo divenne ministro degli Affari indigeni. È in questa carica, da lui ricoperta fino al 1958, che strutturò quel rigido sistema di segregazione che è conosciuto come apartheid. Nel 1958 divenne premier e, sotto il suo governo, il Sudafrica uscì dal Commonwealth. Fu assassinato da un bianco durante una seduta parlamentare.