Sudan, a sei mesi da inizio conflitto il Paese è diviso in due

di claudia

A sei mesi dall’inizio del conflitto civile in Sudan (lo scorso 15 aprile), la situazione è quella di un Paese diviso in due tra l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan e i paramilitari delle Rapid Support Forces (Rsf) dell’ex vice di Burhan, Mohamed Hamdan Dagalo noto anche come Hemedti.

A Khartoum, secondo varie fonti, sono i paramilitari ad avere per lo più il controllo: tre quarti della capitale ricade nell’area delle Rsf che tengono sotto assedio diverse postazioni militari tra cui il quartier generale dell’esercito. Al-Burhan ha lasciato Khartoum lo scorso agosto e da allora si trova a Port Sudan, sul mar Rosso. Il resto del Paese è diviso in due con l’esercito che controlla le province dell’est, del nord e del sud, mentre i paramilitari sono installati nell’ovest.

In Darfur, le Rsf tengono sotto scacco di diverse basi militari, in particolare nelle città di Nyala ed el-Fasher. A restare sconosciuta è l’esatta ubicazione di Hemedti.

Nelle ultime settimane si sono aperti nuovi fronti, nel Kordofan del nord e in quello del sud, ma anche nello Stato di al-Jazirah, dove in questi mesi hanno trovato rifugio migliaia di sfollati. La guerra si combatte anche sul fronte del controllo delle infrastrutture e degli approvvigionamenti oltre che su quello della propaganda e della ricerca di sostegni internazionali. 

Sei mesi di guerra tra l’esercito del Sudan e un il gruppo paramilitare delle Forze di supporto rapido (Rsf) hanno ucciso fino a 9.000 persone e creato “uno dei peggiori incubi umanitari della storia recente”, ha commentato ieri il capo umanitario delle Nazioni Unite, Martin Griffiths.

“Per sei mesi, i civili non hanno avuto tregua dallo spargimento di sangue e dal terrore”, ha detto Griffiths in una dichiarazione in occasione dei sei mesi dall’inizio del conflitto il 15 aprile. “Continuano ad emergere notizie orribili di stupri e violenze sessuali”. Oltre a migliaia di morti e milioni di sfollati conflitto ha portato a “comunità distrutte. Persone vulnerabili che non hanno accesso agli aiuti salvavita. Crescono i bisogni umanitari nei paesi vicini dove milioni di persone sono fuggite”.

Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per la migrazione Oim, più di 4,5 milioni di persone sono state sfollate all’interno del Sudan, mentre oltre 1,2 milioni di altri hanno cercato rifugio nei Paesi vicini. I combattimenti hanno inoltre lasciato 25 milioni di persone – più della metà della popolazione del paese – bisognose di aiuti umanitari, ha affermato Griffiths.

Sono stati segnalati stupri e stupri di gruppo a Khartoum e nella regione orientale del Darfur, per lo più attribuiti alle Forze di supporto rapido. La Rsf e le milizie arabe alleate sono state accusate anche dalle Nazioni Unite e da gruppi internazionali per i diritti umani di atrocità commesse in Darfur. Violenze che hanno spinto la Corte penale internazionale indagare su presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità nella regione.

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