di Tommaso Meo
Il conflitto in Sudan è entrato nel suo settimo mese e non ci sono segnali che si stia esaurendo. La guerra si è estesa ad aree finora non colpite e la mobilitazione di armi e combattenti continua. Intanto le iniziative civili contro la guerra mancano di slancio e non esiste uno sforzo internazionale coerente per porre fine alla guerra. Tutto questo potrebbe però peggiorare, in almeno cinque diversi modi. È quanto pensano gli autori di Sudan War Monitor, una newsletter che monitora e analizza il conflitto tra esercito e paramilitari che dura dal 15 aprile.
Secondo il primo scenario preso in considerazione, se i flussi di petrolio venissero fermati, il Sudan correrebbe il rischio di un ulteriore collasso dello Stato, che probabilmente trascinerebbe con sé anche il vicino Sud Sudan, provocando forse una nuova guerra civile allargata a tutta la regione. “Militarmente, le Forze di supporto rapido (Rsf) sono in grado di tagliare facilmente i flussi di petrolio”, scrivono gli analisti. Recentemente, hanno preso il controllo di una stazione di pompaggio chiave ad al-’Aylafun e potrebbero anche attaccare gli oleodotti in altri luoghi.
Un secondo scenario peggiore dell’attuale vede entrare in guerra gli ex ribelli del Darfur, tra cui soprattutto la fazione dell’Esercito di Liberazione del Sudan del governatore regionale Minni Arko Minnawi, per ora rimasto neutrale. “Gli attacchi della RSF ai convogli commerciali scortati dagli ex ribelli, ad esempio, o gli attacchi ai villaggi di Fur o Zaghawa, potrebbero provocare un conflitto più ampio”, scrive il Sudan War Monitor.
Questo sviluppo potrebbe verificarsi anche se un’altra condizione peggiora il conflitto: ovvero se la violenza in Darfur, guidata da Rsf e combattenti arabi, che finora ha preso di mira soprattutto i popoli Masalit, si rivolgerà ad altre tribù della regione, come i Fur e gli Zaghawa.
Il conflitto potrebbe poi causare molti più morti e sfollati se le Rsf, che ora controllano buona parte di Khartoum, attaccano un’altra importante area urbana. I paramilitari hanno infatti decine di migliaia di soldati nella capitale che potrebbero essere schierati altrove con breve preavviso. “Forse le città più a rischio sono al-Obeid, circondata dalle Rsf, e le città più vicine a Khartoum, come Wad Madani e Shendi”, si legge nella pubblicazione.
Infine, la già drammatica situazione umanitaria del Paese potrebbe deteriorasi ulteriormente a causa di una recessione economica globale che riduca drasticamente i finanziamenti umanitari. Gli operatori umanitari in Sudan stanno intanto già avvertendo di una discrepanza tra il livello dei bisogni umanitari e le risorse disponibili. “Ciò a cui stiamo assistendo ora sarà l’inizio di una tragedia ancora più grande che deve ancora svolgersi, il che significa che sempre più persone continueranno a morire inutilmente” ha detto ieri Christos Christou, presidente internazionale di Medici Senza Frontiere.