I colloqui militari sudanesi-etiopici hanno concordato di formare pattuglie di frontiera congiunte, ma rimangono ancora in disaccordo sulla riapertura del valico di frontiera tra i due Paesi, scrive il sito Sudan Tribune. Durante un incontro tra le rispettive delegazioni militari, la parte sudanese ha rifiutato la riapertura del valico di Gallabat-Metema, secondo quel che hanno rivelato fonti militari sudanesi al quotidiano.
La strada è stata chiusa nel luglio dello scorso anno dopo l’omicidio di un ufficiale dell’esercito sudanese nell’area di Galabat da parte di uomini armati etiopi all’interno del lato sudanese del confine.
L’incontro, tenutosi a Metema, ha discusso dell’apertura del valico tra i due Paesi, delle questioni di confine e delle attività di opposizione nei due Paesi.
Secondo le fonti, la parte etiope ha ripetuto che il Sudan addestra le forze del Tplf – l’esercito che lotta per la liberazione della regione del Tigray – all’interno dei campi profughi e che nei campi erano presenti elementi militari del Tigray. La delegazione sudanese, da parte sua, ha respinto le accuse e ha sottolineato che solo i rifugiati tigrini sono in Sudan e i campi sono controllati dall’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite e dai gruppi umanitari internazionali.
L’incontro congiunto, durato più di sei ore, ha comunque deciso di dispiegare pattuglie di frontiera congiunte per mantenere la sicurezza, tenere i campi profughi lontani dal confine e scambiare informazioni tra i due Paesi.
Le fonti hanno confermato che le autorità sudanesi si sono rifiutate di aprire il valico di frontiera e riprendere l’attività commerciale tra i due Paesi. Il Sudan chiede che coloro che hanno ucciso l’ufficiale sudanese siano ritenuti responsabili e che Addis Abeba impedisca ai miliziani armati di entrare nel suo territorio. I funzionari sudanesi vogliono che il confine rimanga chiuso fino alla fine della guerra civile nella regione del Tigray che continua dal novembre del 2020.
Nella foto (Afp), civili etiopi in fuga dalla guerra del Tigray in una campo profughi in Sudan