Sudan infernale per le donne: “Sesso in cambio di aiuti”

di Marco Trovato

Oltre due dozzine di donne rimaste intrappolate nei combattimenti a Omdurman, città gemella della capitale sudanese Khartoum, hanno dichiarato che i rapporti sessuali con uomini dell’esercito sudanese sono l’unico modo per avere accesso a cibo o beni da vendere per raccogliere denaro con cui sfamare le loro famiglie. La denuncia proviene dal quotidiano The Guardian, che precisa che, secondo le donne intervistate, la maggior parte delle aggressioni è avvenuta nella “zona delle fabbriche” della città, dove è disponibile la maggior parte del cibo.

Segnalazioni di stupri da parte di uomini armati sono emerse entro pochi giorni dall’inizio del conflitto, il 15 aprile 2023. Numerosi resoconti di combattenti paramilitari delle Rapid Support Forces (Rsf) che perpetrano violenze sessuali in modo sistematico sono stati documentati nell’area di Khartum e nel Darfur, la vasta regione occidentale dove ora Rsf controlla tutti i principali centri abitati tranne uno.

Residenti ma anche soldati di Omdurman hanno corroborato i resoconti di donne costrette a fare sesso.

Alcune delle donne che hanno parlato con The Guardian hanno affermato che i soldati chiedono anche sesso in cambio dell’accesso alle case abbandonate, dove è ancora possibile saccheggiare oggetti da vendere nei mercati locali. Le organizzazioni umanitarie hanno difficoltà a fornire cibo alle persone in disperato bisogno in tutto il Paese e, sebbene il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite abbia recentemente dichiarato di aver effettuato delle consegne nell’area di Khartum, le donne con cui ha parlato The Guardian hanno dichiarato di non aver visto alcun aiuto internazionale arrivare nei loro quartieri.

Il conflitto in Sudan ha causato decine di migliaia di morti e sfollati più di 10 milioni di persone, secondo le Nazioni Unite. Un recente rapporto sostenuto dalle Nazioni Unite ha affermato che quasi 26 milioni di persone, ovvero poco più della metà della popolazione, stavano affrontando alti livelli di “insicurezza alimentare acuta”.

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