Circa 50mila persone sopravvivono da mesi in rifugi di fortuna, senza alcuna assistenza o servizi di base, nella zona orientale del Ciad al confine con il Sudan, da cui sono fuggite a causa di guerra e violenze interetniche. La stima è di Coopi Cooperazione internazionale, tra le poche Ong che intervengono in Sudan e nelle zone della regione coinvolte dalla crisi che, iniziata il 15 aprile, sta spingendo alla fuga milioni di persone internamente e verso i Paesi vicini.
“L’Europa e il mondo ricco hanno gli occhi puntati altrove, ma nella regione sudanese è in corso una tragedia senza precedenti da arginare immediatamente, anche per evitare ulteriori escalation”, ha dichiarato Ennio Miccoli, direttore di Coopi, in occasione del Coopi Meeting a Milano, focalizzato quest’anno sulle “policrisi” ed emergenze in corso.
“Scontri e violenze etniche in Darfur stanno causando un nuovo esodo. Mentre i campi profughi sono sovraffollati, le 50mila persone accampate alla frontiera nella regione orientale ciadiana di Sila non hanno nulla, spesso nemmeno un telo sotto cui rifugiarsi o accesso sicuro all’acqua”, dice Marcelo Garcia Dalla Costa, responsabile dell’Unità Emergenze di Coopi. “È una crisi nella crisi: dopo aver assistito ad atrocità e brutalità, queste persone hanno bisogno urgente dei beni e servizi di base, dal cibo alle cure sanitarie”, ha aggiunto in una nota diffusa dalla ong.
Prima di aprile, quando sono inziziati gli scontri tra esercito e paramilitari per il controllo del Paese, circa 3,7 milioni di persone vivevano in Sudan come sfollate interne, in maggioranza in Darfur, dove, secondo l’Onu, ora vive il numero più grande di sfollati interni al mondo, nonché quello che aumenta più in fretta. Proprio dal Darfur, nel Ciad orientale sono arrivati oltre 400mila profughi, che diventeranno 600mila entro la fine dell’anno. Circa 130mila vivono nei campi di Djabal, Goz Amir e Zaboud, e in quello informale di Kerfi. Tra loro, oltre 60mila sono dei “rientrati”, ossia persone originarie del Ciad che si erano trasferite in Sudan, e per il 93% si tratta di donne e bambini. Decine di migliaia vivono invece in ripari improvvisati, sovraffollati, senza servizi di base e assistenza, attorno alle località di Tissi, Deguessa, Andressa e Mogororo. A Deguessa a marzo vivevano 3mila persone, ora sono 12mila. Inoltre, altre migliaia sono bloccate in prossimità della frontiera: a impedire il viaggio sono le condizioni delle strade e l’impossibilità di attraversare i fiumi temporanei. Quando giungeranno in Ciad, la situazione si farà ancora più drammatica, secondo Coopi.
Condizioni critiche si verificano anche ai confini di altri Paesi vicini al Sudan, ha denunciato l’Ong. Quello del Sud Sudan secondo l’Onu è stato attraversato da 30mila sudanesi e 266mila “rientrati”: decine di migliaia restano bloccati in attesa di trasferimento, impossibilitati a partire da mancanza di fondi e piogge stagionali, in condizioni precarie e in continuo peggioramento. Al confine con l’Etiopia, le scarse condizioni di sicurezza ostacolano i movimenti e si sono verificate epidemie di colera e malaria.