Il processo a carico del leader dei Janjaweed Ali Kushayb, il primo procedimento giudiziario avviato su richiesta del Consiglio di sicurezza dell’Onu, rappresenta “un barlume di speranza per la giustizia in Darfur”, e bisogna garantire “tutti insieme che non sia una falsa alba”. Lo ha detto il procuratore capo della Corte penale internazionale (Cpi), Karim Khan, riferendo al Consiglio di sicurezza dell’Onu dal Sudan dove si trova in visita.
Il processo contro Kushayb si è aperto il 5 aprile scorso e riguarda 31 capi di accusa di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nella regione del Darfur, nell’Ovest del Paese, durante il conflitto scoppiato nel 2003 quando due gruppi di miliziani imbracciarono le armi contro il governo, accusato di discriminare la popolazione non araba. L’allora governo di Omar al Bashir rispose inviando i miliziani arabi noti come Janjaweed (diavoli a cavallo): furono centinaia di migliaia i morti e diversi milioni di persone vennero sfollate dopo il saccheggio e la distruzione dei loro villaggi da parte dei Janjaweed.
Dall’inizio del processo, ha riferito Khan, sono stati ascoltati 28 testimoni il cui racconto ha illustrato alla corte “un microcosmo di sofferenza”. Ma sarebbe “falso”, ha ammonito il procuratore capo, pensare che tutte le cose orribile accadute nel Darfur ricadano solo sulle spalle di Ali Kushayb, il cui vero nome è Ali Muhammad Ali Abd-Al-Rahman. La Cpi ha emesso altri mandanti di arresto, ha ricordato Khan, sollecitando maggiore “cooperazione e responsabilità” da parte degli Stati membri dopo che “negli ultimi mesi si è fatto un passo indietro in termini di cooperazione”.
“Sono tornato in Sudan per rafforzare le basi del nostro lavoro comune perché i responsabili paghino – ha quindi rimarcato – la cooperazione delle autorità sudanesi è essenziale se vogliamo assicurare che sia fatta vera giustizia per il Darfur”. Il procuratore ha quindi raccontato di aver visitato la regione, di essere stato nel grande campo profughi di Kalma, dove vivono circa 300.000 persone, di aver incontrato il governatore del Darfur centrale e di aver visitato anche altri due campi.
“La nuda verità è che l’incubo per migliaia di persone del Darfur non è finito” perché non è stata fatta giustizia e i responsabili non hanno pagato come “previsto dal Consiglio nel 2005”, quando deferì il caso alla Cpi. “I racconti che ho sentito in Darfur questa settimana fanno eco a quelli che ora vengono raccontati dai sopravvissuti alla Cpi nel processo di Ali Kushayb. Dobbiamo sostenere i diritti e il coraggio di questi sopravvissuti attraverso un’azione continua”, ha concluso.