di Tommaso Meo
A due giorni dell’apertura del governo sudanese a partecipare ai negoziati di Ginevra, la speranza di rinnovati colloqui di pace tra le Forze armate sudanesi e le Forze di Supporto Rapido (Rsf) appare di nuovo lontana.
Questa marcia indietro arriva in concomitanza con il presunto attentato a cui sarebbe sopravvissuto il capo dell’esercito Abdel Fattah al-Burhan (foto di apertura) il 31 luglio. Una dichiarazione dell’esercito ha affermato che l’attacco, condotto da due “droni nemici”, è avvenuto durante una cerimonia di laurea presso la base militare di Gibeit, a circa 100 chilometri dalla capitale de facto dell’esercito, Port Sudan, nello Stato orientale del Mar Rosso. Nell’attacco cinque persone sono state uccise e altre ferite in modo lieve, secondo l’esercito.
La tempistica dell’attacco è degna di nota perché solamente il giorno precedente il governo del Sudan aveva accettato, seppur con riserva, l’invito a partecipare ai colloqui di pace sponsorizzati dagli Stati Uniti in Svizzera. Questa risposta è stata la maggiore apertura mostrata dal governo militare sudanese verso le discussioni per il cessate il fuoco dallo scorso anno, mentre le Rsf avevano già accettato di partecipare. L’esecutivo, allineato all’esercito, nella sua risposta all’invito ha affermato di essere “la parte più interessata a salvare le vite e la dignità del popolo sudanese” e che quindi “coopererà con qualsiasi entità che intenda farlo”. Tuttavia, la dichiarazione del ministero degli Esteri ha chiarito che qualsiasi negoziato prima del ritiro completo e della fine dell’avanzata delle Rsf “non sarà accettabile per il popolo sudanese”.
L’esercito aveva finora respinto al mittente le recenti offerte di riprendere i negoziati di pace e di attuare nuovamente il cessate il fuoco per fermare una guerra che dura dall’aprile del 2023. I colloqui sarebbero co-ospitati dall’Arabia Saudita e includerebbero Egitto ed Emirati Arabi Uniti, questi ultimi tra i maggiori sponsor delle Rsf in questi mesi, ma per ora un accordo sembra lontano. In un discorso pronunciato lo stesso giorno dell’attacco al-Burhan ha infatti respinto i negoziati con le Rsf, prendendo le distanze dalla posizione del ministero degli Esteri di appena un giorno prima.
Intanto si fanno strada alcune domande sull’attentato contro al-Burhan dal momento che mancano verifiche indipendenti e immagini inequivocabili di quanto dichiarato dall’esercito. Al momento sembrano circolare solo due video dell’accaduto. Uno mostra cadetti che marciano e poi un ronzio seguito dal suono di un’esplosione. Il secondo riprende una nuvola di polvere in lontananza e decine di persone che corrono. Non è nemmeno chiaro chi possa essere il responsabile dell’attacco: in Sudan alcuni suggeriscono che si tratti proprio un avvertimento da parte degli integralisti del regime che si oppongono ai colloqui di pace, altri incolpano le Rsf, che però hanno negato di avere qualcosa a che fare con l’attentato. C’è chi anche suggerisce che sia stato lo stesso governo di al-Burhan a inscenare l’attacco. L’attacco potrebbe in effetti beneficiare politicamente il generale, aiutandolo a smentire le accuse di essere un “traditore” responsabile dei fallimenti militari. Inoltre, potrebbe giustificare la repressione contro gli oppositori del regime.
In ogni caso le conseguenze di quanto accaduto a Gebeit potrebbero portare al fallimento anche dei colloqui di Ginevra, come successo con i precedenti tentativi di garantire un cessate il fuoco in Sudan. Finora, il tentativo più vicino a raggiungere una tregua duratura è stata la piattaforma di Gedda, che nel maggio 2023 ha riunito rappresentanti dell’esercito e dei paramilitari, con la mediazione di Arabia Saudita e Stati Uniti. L’111 maggio entrambe le parti hanno firmato un accordo di cessate il fuoco che avrebbe dovuto consentire la fornitura di assistenza umanitaria e il ripristino dei servizi essenziali distrutti negli scontri. Esercito e Rsf hanno anche concordato di fermare i saccheggi e l’utilizzo militare di infrastrutture civili come case e ospedali. A fine mese l’esercito si è però ritirato da questi colloqui a causa di quelle che ha definito “ripetute violazioni” del cessate il fuoco da parte dei paramilitari. In seguito al passo indietro delle Forze armate Riad e Washington a inizio giugno hanno deciso momentaneamente di sospendere i negoziati, per poi tentare di riprenderli più volte in questi mesi senza però alcun risultato tangibile.
Parallelamente sono spuntate altre iniziative che hanno cercato di ricomporre il conflitto ma, secondo alcuni analisti, a causa di questa dispersione di energie le due parti hanno potuto tergiversare. Tra queste, l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad), il blocco regionale dell’Africa orientale, ha guidato un percorso di riavvicinamento che si sarebbe dovuto concludere all’inizio di quest’anno con un incontro, mai avvenuto, tra i due generali. Altri colloqui tra esponenti dell’esercito sudanese e delle Rsf si sono svolti a Manama, in Bahrain, a fine gennaio alla presenza di funzionari di Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Un ultimo tentativo di rivitalizzare i colloqui di Gedda è stato rifiutato dalle forze armate e dal governo a maggio. I colloqui di Ginevra, convocati dall’inviato delle Nazioni Unite per il Sudan Ramtane Lamamra, e iniziati a luglio rappresentano la migliore opportunità da tempo per arrivare a uno stop del conflitto. Non prevedono negoziati faccia a faccia, ma tramite mediatori, ma per ora solo una delegazione si è presentata.