Sudan, per Hemetti e al-Burhan deciderà il campo di battaglia

di claudia

 I due generali impegnati nel conflitto in corso da sei giorni in Sudan per il controllo del terzo Paese più grande dell’Africa si accusano a vicenda di essere dei “criminali”, responsabili della morte dei civili negli scontri in corso da sabato scorso, lasciando intendere nel corso di interviste concesse al Financial Times di voler risolvere le divergenze “sul campo di battaglia”.

Mohamed Hamdan Dagalo (Hemetti), vice presidente della giunta militare al potere in Sudan dal 2021 e comandante delle forze paramilitari di supporto rapido, ha definito il presidente della giunta e capo dell’esercito, Abdel Fattah al-Burhan, il capo di una “banda di islamisti radicali” che punta a una dittatura militare. Hemetti ha poi accusato l’esercito di prendere di mira ospedali e obiettivi non militari. “Noi siamo pronti perché ci colpisca, non i civili – ha detto Hemetti – chiediamo a Dio di ottenere il controllo e di arrestarlo per consegnarlo alla giustizia”. Alla domanda se le sue forze vinceranno, Hemetti ha risposto: “Siamo pronti e ora siamo sul campo di battaglia. Il campo di battaglia definirà tutto”.

Anche al-Burhan ha accusato le forze di supporto rapido di violenza indiscriminata, sostenendo che “gran parte degli uomini è fuori controllo”, come dimostrato dai saccheggi avvenuti a Khartoum e nel Darfur, e ha puntato il dito contro Hemetti per l’incidente diplomatico avvenuto con l’Egitto, con il “sequestro” di un gruppo di soldati egiziani. Secondo il generale, i militari egiziani erano in Sudan nell’ambito di un programma di addestramento congiunto delle forze armate. Posizione sostenuta anche dal Cairo.

Al Burhan ha anche accusato le forze paramilitari di aver ucciso tre dipendenti del Programma alimentare mondiale e di aver attaccato un convoglio dell’ambasciata degli Stati Uniti. Accusa non verificabile in maniera indipendente. E a sua volta ha sostenuto che obiettivo di Hemetti sarebbe “prendere il potere”.

“Questo è un conflitto esistenziale per entrambi i generali”, ha commentato Kholood Khair, un analista di Khartoum interpellato dal quotidiano della City, secondo cui ci sono poche

prospettive che gli sforzi internazionali riescano a fermare il conflitto: “Vogliono andare fino in fondo”. Dall’inizio del conflitto ci sono stati diversi annunci di cessate il fuoco per garantire ai civili intrappolati di mettersi al sicuro e ai feriti di ottenere le cure, ma ogni volta le tregue non sono state rispettate, con scambio di accuse reciproche. Stando al bilancio fornito dal ministero della Salute di Khartoum, sarebbero almeno 270 i morti feriti e 2.600 le persone ferite.

Hemetti e Burhan, alleati nel 2019 al momento di deporre l’ex presidente Omar al Bashir, poi di nuovo nell’ottobre del 2021 per rovesciare il governo civile di transizione guidato da Abdalla Hamdok, si sono scontrati negli ultimi mesi nell’ambito del processo di attuazione dell’accordo quadro firmato lo scorso dicembre per insediare un governo civile fino alle elezioni. Al centro della discordia la piena integrazione degli uomini di Hemetti nelle forze armate: l’esercito puntava a un’integrazione rapida, nell’arco di uno o due anni, il leader delle forze di supporto rapido voleva invece mantenere l’autonomia per altri dieci anni, chiedendo anche che l’esercito fosse epurato dai suoi elementi islamisti.

Un ex consigliere del premier Hamdok, Amjed Farid, ha detto al Ft: “L’esercito e le forze paramilitari di supporto rapido sono stati ugualmente complici del crimine politico più recente del Paese: il colpo di stato del 2021. Il loro attuale conflitto è una battaglia per il bottino”. 

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