In Sudan, dopo 72 ore di sospensione, il dialogo tra militari e civili è ripreso ieri, domenica 19 maggio. La sospensione era stata decisa dai militari che avevano accusato i manifestanti di aver esteso il sit-in erigendo barricate in tutta la città, rischiando di bloccare la capitale sudanese e provocando scontri. Nella notte successiva alla dichiarazione di sospensione da parte dell’esercito, i manifestanti avevano ritirato le barricate. «La palla è ora nel campo dell’esercito», avevano dichiarato i leader della protesta. Un messaggio che è stato recepito dai militari.
Ci sono però voluti alcuni accorgimenti: oltre alla rimozione delle barricate, sono state emarginate le milizie responsabili dei colpi sparati la scorsa settimana, che hanno ucciso sei persone e ne hanno ferito decine. La polizia è tornata attorno al sit-in, dopo diversi mesi di assenza. Nonostante qualche sospetto, i manifestanti preferiscono la presenza dei poliziotti piuttosto che dei miliziani.
«Siamo rassicurati dal fatto che la polizia sia qui – ha dichiarato Ahmed Gassim Idriss, un giovane commerciante responsabile della sicurezza sul sit-in –. Anche se non diamo molta confidenza agli agenti. La milizie stavano iniziando a diventare pericolose per tutti».
Militari e civili devono ora firmare l’intesa raggiunta la settimana scorsa. Quanto ala distribuzione dei ruoli dei componenti il governo di transizione, i leader della protesta vogliono a tutti i costi che un civile diriga questa futura istituzione chiave. La speranza è che, raggiunto l’accordo, l’economia riprenda il suo corso. A questo proposito, l’Arabia Saudita ha appena prestato 250 milioni di dollari alla Banca centrale del Sudan per permettere al Paese di respirare un po’.