La capitale del Sudan, Khartoum, è da stamattina teatro di violenti scontri tra l’esercito e forza paramilitari. Si registrano combattimenti ed esplosioni attorno ai principali palazzi e snodi strategici del potere.
A scontrarsi sono i paramilitari delle Forze di sostegno rapido (Rsf) del generale Mohamed Hamdane Daglo, che riferiscono di avere preso il controllo del palazzo presidenziale e l’aeroporto. Notizie che vengono bollate come “bugie” dall’esercito, che nel corso degli scontri ha usato armi leggere e pesanti.
Violenti scontri armati sono stati segnalati vicino al quartier generale dei paramilitari nella parte sud della città. Raffiche di spari sono state udite anche vicino all’aeroporto e nella periferia settentrionale.
La tensione tra esercito e paramilitari è deflagrata questa mattina quando sarebbe partita un’imponente offensiva delle forze regolari nella base di Soba, a sud di Khartum, di cui gli uomini di Dagalo avevano preso il controllo negli ultimi giorni.
“Le forze di sostegno rapido sono state sorprese da una grande forza dell’esercito che è entrata negli accampamenti di Soba a Khartoum e ha assediato i paramilitari”, ha dichiarato Rsf in un comunicato. L’esercito ha “lanciato un attacco a tappeto con tutti i tipi di armi pesanti e leggere”.
“Si spara anche a Khartoum-2, il quartiere in cui si trova l’Ambasciata d’Italia. Vengono usate pure armi pesanti e circolano carri armati, si sentono forti esplosioni”, riferisce all’agenzia ANSA una fonte diretta nella capitale sudanese.
Gli scontri armati che stanno scuotendo Khartoum arrivano dopo mesi di tensione crescente tra esercito e paramilitari. Si tratterebbe di un regolamento di conti tra i leader dei due schieramenti armati, per il controllo del potere nella delicata e travagliata fase di transizione del Sudan verso la democrazia.
Il generale Mohamed Hamdan Dagalo (foto in alto a destra), comandante delle Rsf e vicepresidente del Consiglio sovrano, aveva pubblicamente respinto atti compiuti il 25 ottobre scorso dal presidente dello stesso Consiglio e comandante in capo dell’esercito, il generale Abdel-Fattah Al-Burhan (foto in alto a sinistra), definendoli un “colpo di Stato”.
Di recente erano emerse divergenze anche sul processo politico per una transizione alla democrazia basato sull’accordo-quadro firmato il 5 dicembre scorso, in particolare sulle questioni della sicurezza e della riforma militare.
Il leader dell’esercito sudanese vorrebbe infatti integrare rapidamente le Rsf nei propri ranghi mentre Dagalo vorrebbe un calendario che potrebbe durare fino a dieci anni.
L’Rsf, inoltre, vorrebbe essere sottoposta a una guida civile, riforma che l’esercito rifiuta, e chiede la rimozione di tutti gli elementi dei Fratelli Musulmani dalle forze armate come prerequisito per la riforma.
Le dispute tra le due parti su queste e altre questioni stanno ritardando la firma di un accordo finale per passare a un governo civile che era prevista per il primo aprile scorso.
L’instabilità del Sudan è iniziata con il con il crollo del regime dell’ex presidente Omar al-Bashir. destituito dall’esercito nell’aprile 2019 di fronte alle proteste di massa guidate dalle Forze per la libertà e il cambiamento (Ffc), un’alleanza civile che è diventata un elemento chiave della transizione.
Il 25 ottobre del 2021 il generale Abdel Fattah al-Burhan, a capo dell’esercito, aveva compiuto un golpe militare interrompendo la transizione democratica, sciogliendo le principali istituzioni del Paese e arrestando quasi tutti i civili che avevano incarichi di governo e controllavano parti dell’amministrazione pubblica. Al colpo di stato aveva contribuito anche il generale Mohamed Hamdan Dagalo, comandante dei paramilitari delle Rsf e vicepresidente del Consiglio sovrano.
Da quel momento Khartoum è stata attraversata da grandi manifestazioni anti-golpe, represse con durezza dalle forze di sicurezza che hanno causato centinaia di morti.
La popolazione civile – ostaggio delle lotte intestine all’apparato militare – chiede l’intervento della comunità internazionale per porre fine alla scia di sangue e ripristinare le libertà democratiche. Ma la battaglia dei manifestanti, la loro richiesta di aiuto, è stata finora inascoltata dalla diplomazia e ignorata dai grandi media. Lontano dai riflettori, il Sudan scivola in una dittatura sempre più sanguinosa.