Sudan, economia giù e la povertà si diffonde

di Enrico Casale

In Sudan il malcontento è grande. La gente fa fatica a tirare avanti. La situazione economica è molto difficile: i sussidi su benzina e farina sono stati tagliati, i prezzi salgono e la lira sudanese perde continuamente valore. È questo il quadro tracciato da fonti bene informate interpellate da Africa a Khartoum.

«In novembre un euro valeva 270 lire egiziane. Oggi ne vale 370 – osservano le nostre fonti -. Questo ha portato a un’impennata dell’inflazione. Ciò, unito all’abolizione dei prezzi sussidiati di carburanti e pane, ha creato una miscela esplosiva. Nei giorni scorsi la gente è scesa per strada per manifestare contro il carovita. Manifestazioni che sono state duramente represse».

Dopo la caduta di Omar al-Bashir, i sudanesi speravano in a rapida ripresa dell’economia. Così non è stato. «Chi conosce la storia e il sistema economico sudanese – proseguono – sapeva che era impossibile una ripresa immediata. Anche perché il governo controlla solo il 12% delle risorse nazionali». Il resto è nelle mani delle forze armate. Il sistema economico sudanese è molto simile a quello egiziano. I militari sono proprietari di terreni agricoli, industrie, società di servizi. «In Egitto, però, le forze armate possono contare su ufficiali esperti e preparati – continuano -. In Sudan le forze armate non possono godere di un simile competenza e i risultati sono sotto gli occhi di tutti».

Questa profonda crisi economica si inserisce in un contesto politico nazionale e internazionale non semplice. Dopo anni si sono registrati nuovi incidenti in Darfur che hanno provocato più di 200 morti e migliaia tra profughi e rifugiati in Stati confinanti. A scontrarsi membri di tribù di etnia africana con altri di etnia araba. Sullo sfondo la lotta tra allevatori nomadi e agricoltori per l’acqua e i pascoli. A questa crisi si aggiunge quella con l’Etiopia per antiche dispute di confine. «Nella disputa con l’Etiopia – osservano le nostre fonti – si intrecciano interessi diversi. C’è sì una questione di confini mai risolta, ma ci sono anche le diatribe legate al mancato accordo sulla Grande diga del millennio costruita dall’Etiopia sul Nilo Azzurro, ci sono gli appetiti sulle risorse locali (nelle aree contese ci sono ingenti giacimenti di oro). E poi quale ruolo gioca l’Egitto? Il Cairo ha tutto l’interesse a mandare avanti Khartoum per destabilizzare l’Egitto. Ma il Sudan quali vantaggi ne trae? Una guerra aperta non è ipotizzabile, ma una guerra a bassa intensità non è impossibile e, certamente, non è meno dannosa e pericolosa di un conflitto tradizionale».

La situazione politica ed economica è delicata. C’è chi teme un possibile golpe. «La situazione potrebbe favorire l’ascesa di un uomo forte – concludono le nostre fonti -. Alcuni leader politici hanno già fatto discorsi al limite della legalità costituzionale. Detto questo, la società civile, in particolare gli studenti e i rappresentanti delle professioni, hanno sviluppato una forte coscienza democratica. Non credo che accetterebbero di buon grado un colpo di Stato. Loro continuano a battersi per uno sviluppo armonico del Paese e per una politica che guardi al bene comune e non agli interessi particolari e personali dei singoli politici».

(Enrico Casale)

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