di Mariachiara Boldrini
Poco o nulla sappiamo di coloro che tentano la sorte dalle sponde del Mar Rosso, ma quella del Golfo di Aden è una delle rotte migratorie tra le più trafficate al mondo, dove si incrociano etiopi in fuga, africani di ritorno e yemeniti che scappano dalla guerra. Il Gibuti è crocevia di popoli in cerca di un futuro migliore, lo Yemen prigione di chi non ce la fa.
In viaggio verso le petrol-monarchie
Stando alle statistiche delle Nazioni Unite, con dati stabili negli ultimi decenni, le monarchie del Golfo contano la più grande proporzione di stranieri rispetto al totale della popolazione e la richiesta costante di manodopera a basso costo è un incentivo per i migranti del Corno d’Africa, che decidono di partire alle volte del Mar Rosso. In passato si fuggiva soprattutto dalla Somalia, destabilizzata da decenni di conflitto, circumnavigandone la penisola fino ad arrivare sulle coste meridionali yemenite. Oggi a fuggire sono sempre di più gli etiopi, messi in fuga dalla povertà e dagli scontri in Tigray.
Ben 15 mila birr etiopi (circa 300 dollari) è la cifra necessaria per raggiungere a piedi o in auto le città portuali del Gibuti, paese di 23 mila chilometri quadrati strategicamente posizionato nel punto più stretto del Golfo di Aden, dove solo 29 km separano l’Africa dalla Penisola Arabica. È del maggio scorso la notizia dell’incidente di un minibus con 50 passeggeri che da Addis Abeba era diretto a Obock, città sulla costa settentrionale gibutiana e snodo delle rotte migratorie. Il mezzo viaggiava a velocità elevata nel tentativo di eludere i controlli della polizia e i sopravvissuti sono stati abbandonati sulla strada.
Una volta giunti sulle sponde del Mar Rosso, altri 10.000 birr a persona serviranno ai contrabbandieri per organizzare il viaggio via mare, immaginato dai bambini a bordo di galeoni disegnati da un pastello blu, in realtà su barche piccole e sovraffollate, non raramente agli onori della cronaca in seguito a un naufragio.
Yemen come la Libia
La meta è lo Yemen, dove il conflitto che perdura da otto anni non ha interrotto il traffico di migranti, ma lo ha anzi fomentato, perché i trafficanti agiscono ormai nella più totale impunità.
All’arrivo, migranti e rifugiati vengono accolti da trafficker locali affiancati da “mediatori” africani. Coloro che possono permetterselo vengono condotti per circa 1.000 km fino al confine saudita su pulmini di fortuna. Coloro che non possono pagare il trasporto in bus, intraprendono il viaggio a piedi, tra i passi di montagna e il deserto yemenita, dormendo per strada per oltre due settimane, nella speranza di non incontrare check point dove saranno costretti a lasciare il denaro e gli oggetti di valore. Gli stessi cittadini yemeniti che hanno tentato di offrire un passaggio ai migranti hanno rischiato ritorsioni ai posti di blocco e nel 2020 il Guardian ha documentato l’iniziativa di Steps, ente di beneficenza che forniva alle donne pillole del giorno dopo per evitare gravidanze dovute agli stupri.
Chi riesce ad arrivare a nord, al confine con l’Arabia Saudita, rischia di cadere nelle mani delle milizie houthi, che provvedono all’arresto e la detenzione nei centri irregolari dei migranti giunti dal Corno d’Africa. Solo la tassa d’uscita di 1.000 riyal sauditi può assicurare la libertà, ma non l’accesso in Arabia Saudita: caricati sui camion, i migranti sono nuovamente abbandonati nel deserto, più a Sud.
Rimpatri
Lo Yemen è ormai per la Rotta del Mar Rosso quello che la Libia è per il Mediterraneo e non sono pochi quelli che decidono di fare retromarcia e tornare nel paese d’origine.
Secondo Mixed Migration le cattive condizioni stagionali e le alte maree hanno provocato tra aprile e giugno una riduzione del 40,9% degli arrivi nel Paese rispetto al primo trimestre del 2022, mentre i rimpatri volontari in Etiopia sono in aumento. A seguito del deterioramento della situazione umanitaria yemenita, circa 1.000 migranti negli ultimi tre mesi sarebbero tornati in Africa Orientale spontaneamente o attraverso programmi di rimpatrio assistito gestiti dall’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni.
Riyad, che deve il suo boom economico anche allo sfruttamento dei migranti provenienti dal Corno d’Africa, non è più clemente con chi riesce a raggiungerla alla fine del percorso migratorio. Tra Aprile e Maggio l’Arabia Saudita ha espulso più di 35.000 migranti etiopi e 100.000 saranno rimpatriati nel 2022 grazie ad un accordo con l’Etiopia entrato in vigore il 30 marzo.
Secondo Amnesty International, il deflagrare della pandemia ha complicato le cose, causando l’espulsione dallo stato yemenita di migliaia di migranti etiopi, compresi donne e bambini, conseguentemente arrestati e incarcerati in Arabia Saudita in condizioni “infernali”, in completa assenza di cibo, acqua, cure mediche di base e servizi igienici.
Gibuti terra di passaggio
Secondo recenti dati dell’OIM la maggior parte dei migranti sulla rotta del Mar Rosso è ignara dei rischi a cui va incontro prima della partenza e più della metà di coloro che migrano (65%) prendono la decisione “meno di un mese prima della partenza”.
Sebbene una volta in Yemen pochi consiglierebbero il viaggio a un familiare e l’87% abbia dichiarato di voler tornare a casa, dopo il rimpatrio molti tentano il viaggio una seconda o una terza volta, anche a poco meno di un mese di distanza, nella speranza di riuscire a concludere il viaggio verso i paesi del Golfo con maggiori risorse economiche.
Le città di Godoroa, Fagal e Obock in Gibuti sono diventate quindi terre di passaggio dove si incrociano gli yemeniti che scappano dalla guerra, gli etiopi che tentano ripetutamente la fortuna alla volta dell’Arabia Saudita e quelli tornano dopo le violazioni vissute in Yemen, correndo doppiamente il rischio dell’attraversamento del Golfo di Aden.
A questi si aggiungono, non ultimi, i migranti africani per cui il Gibuti è una tappa intermedia, che sperano di fermarsi un po’ in Sudan (principale paese ricettore di rifugiati e richiedenti asilo etiopi) e poi ripartire per l’Europa via Egitto o, molto più spesso, via Libia.
Foto di apertura: Migane Megag / Afp. I resti di un’imbarcazione carica di migranti naufragata al largo della costa nord-orientale di Gibuti. Non si hanno notizie di sopravvissuti. Tragedie simili sono frequenti in questo braccio di mare. Negli ultimi cinque anni, più di un milione di persone (per lo più somali, etiopi ed eritrei) hanno attraversato le pericolose acque del Golfo di Aden e il Mar Rosso per raggiungere lo Yemen. Dal 2015 più di diecimila migranti sono morti durante l’attraversata, ma il bilancio reale delle vittime degli affondamenti potrebbe essere molto più pesante, secondo le stime dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). La gran parte dei migranti del Corno d’Africa aspira a trovare lavoro tra i grattacieli di Dubai, i cantieri delle nuove grandi moschee dell’Arabia Saudita e quelli degli stadi per i mondiali del 2022 in Qatar. Chi riesce ad approdare alle coste yemenite deve attraversare un territorio insidioso, sconvolto da una guerra sanguinosa e da una terribile crisi umanitaria, dove non è raro finire nelle mani di miliziani e trafficanti che catturano e torturano i migranti per chiedere riscatti ai familiari.