Oggi, 6 febbraio, è la Giornata mondiale della ‘Tolleranza zero’ contro le mutilazioni genitali femminili (Mgf), data istituita dalle Nazioni Unite con l’obiettivo di diffondere maggiore consapevolezza e intensificare gli sforzi per l’eliminazione di questa pratica. Secondo i dati diffusi da Amref Italia, ad oggi più di duecento milioni di donne al mondo ne sono state soggette e oltre quattro milioni rischiano ogni giorno di subirle.
Nel mondo almeno 200 milioni di donne e bambine hanno subito mutilazioni genitali, e oltre quaranta milioni di loro hanno meno di 14 anni. Si tratta di un fenomeno diffuso principalmente in Africa, ma riguarda anche Asia ed Europa. Sono 29 i paesi africani dove le giovani donne subiscono queste pratiche. In alcuni stati l’incidenza del fenomeno è altissima, toccando il 90% della popolazione femminile, nel Corno d’Africa, come Gibuti, Somalia ed Eritrea, ma anche in Egitto e Guinea.
L’Italia si presenta come uno dei Paesi dove vivono il maggior numero di donne escisse, 87mila, per il costante flusso di donne un background migratorio proveniente da Paesi dove le Mgf sono una pratica molto diffusa.
“Un taglio”, come viene chiamata la mutilazione, subito da moltissime bambine e ragazze africane, ancora accettato in alcune culture come un rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta. Una ferita fisica che ha inevitabilmente ripercussioni sull’anima e sulla dimensione emotiva delle donne e bambine, con conseguenze drammatiche dal punto di vista fisiologico e psicologico. Le bambine, diventate “adulte” sono spesso costrette a lasciare la scuola, sposarsi, avere dei figli, convivendo con il dolore di una ferita indelebile.
I rischi immediati per la salute delle mutilazioni genitali femminili includono forti emorragie, shock, dolore estremo, gonfiore genitale, infezioni, complicazioni urinarie e scarsa guarigione delle ferite. Le conseguenze a lungo termine possono includere complicazioni del sistema riproduttivo, disfunzioni sessuali e danni psicologici. L’abbandono della pratica entro il 2030 è incluso nell’obiettivo 5.3 degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, concordati dall’Assemblea generale delle Nazioni unite nel 2015.
Benin, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana, Costa d’Avorio, Camerun, Ciad, Gibuti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Ghana, Guinea, Gambia, Guinea Bissau, Kenia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Sudan, Senegal, Sierra Leone, Somalia e Tanzania. Se le tendenze attuali continuano, la prevalenza delle Mgf seguirebbe la crescita demografica, aumentando sostanzialmente da 119,4 milioni di casi nel 2018 a 205,8 milioni di casi entro il 2047, in questi paesi, e dimezzare il numero di nuovi casi infantili di Mgf non ridurrebbe il numero totale di casi prevalenti nel tempo. Solo abbandonare completamente la pratica ridurrebbe il numero, a 80 milioni.
Contro le Mgf è in prima linea l’organizzazione Amref che lavora in Tanzania, Etiopia, Uganda, Malawi, ed in Kenya. Qui, nella sola contea di Kajiado, dal 2009 ad oggi, l’impegno di Amref ha permesso di diminuire del 24% le Mgf, e sono oltre 20mila le ragazze direttamente e indirettamente protette da questa pratica.
Tanti giovani con background migratorio hanno partecipato al progetto Amref Y-ACT organizzato da Amref con Conngi (Coordinamento nazionale nuove generazioni italiane), Le Reseau e l’Università Bicocca: un’occasione per confrontarsi su un’usanza tradizionale “fondata su un rituale di violenza“, riporta l’associazione. Oggi in occasione di questa giornata i ragazzi che vi hanno partecipato saranno al Campidoglio di Roma, dove potranno presentare il loro lavoro partecipando a un laboratorio di due giorni. Una preziosa occasione di confronto e racconto.