di Enrico Casale
Dieci milioni di sfollati, milioni di morti, stragi che non trovano spazio nei grandi media: nell’indifferenza generale da oltre un anno si consuma la tragedia della guerra in Sudan.
Il Sudan è intrappolato in un gioco grande, che rischia di dividerlo e impoverirlo. In campo sono scesi il generale Abdel Fattah al-Burhan e il suo rivale Mohamed Hamdan Dagalo (conosciuto anche come Hemetti) che dal 15 aprile 2023 combattono una guerra civile senza quartiere. Alle loro spalle, alcuni tra i pesi massimi della scena politica regionale e internazionale: Russia, Iran, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita. “È una partita che si gioca su più tavoli – spiega a Infomundi un religioso cattolico che vuole mantenere l’anonimato -. Le Forze di intervento rapido (Rsf) di Hemetti sono sostenute dagli Emirati Arabi Uniti. La loro forza economica aiuta i miliziani a condurre la loro battaglia contro le forze armate di al-Burhan. Inizialmente, dietro Hemetti c’era anche la Wagner, l’esercito privato di Evgenij Prigozin. Morto quest’ultimo, Mosca si è riallineata. Ora sostiene Khartoum nella speranza di ottenere una base navale a Port Sudan. In qualche modo sono impegnate anche Iran, Arabia Saudita ed Egitto. In modo discreto, ma fanno affluire fondi e armi per le forze armate”.
Le radici del conflitto risalgono alla fine del regime di Omar al-Bashir nel 2019. Dopo la sua destituzione, il Sudan ha vissuto un periodo di transizione in cui civili e militari hanno condiviso il potere in un Consiglio sovrano, con l’intento di avviare il Paese verso un governo democratico. Tuttavia, il colpo di stato militare del 2021 ha interrotto questo processo.
Nel 2023, le tensioni tra l’esercito regolare, guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan, e le Rsf, guidate da Hemetti, si sono intensificate. Le Rsf erano una forza paramilitare emersa dal conflitto in Darfur negli anni 2000, ma hanno acquisito sempre più potere nel corso del tempo. Il conflitto diretto tra i due gruppi è scoppiato nell’aprile del 2023, principalmente a causa delle controversie sul futuro della leadership militare e sulla fusione delle Rsf con l’esercito regolare come parte delle riforme promesse.
“Nelle aree sotto il controllo governativo – continua la fonte -, la vita è pressoché regolare. L’autorità assicura la sicurezza interna e, dove funzionano le strutture, è garantita anche l’assistenza sanitaria. Certo, non tutto è facile. Nelle grandi città sono affluite masse di sfollati. A Port Sudan, per esempio, la popolazione è raddoppiata, forse anche di più. Ciò ha causato un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e degli affitti. Molte persone hanno perso il lavoro. Tirare avanti in queste condizioni è dura”.
Molto più difficile è però la vita nelle zone sotto controllo delle Rsf. “I miliziani – continua – non hanno rispetto per la popolazione: incendiano i villaggi, rapiscono le donne, rubano. I vecchi membri delle Rsf erano più disciplinati. Recentemente ai loro reparti si sono però aggiunti mercenari stranieri (ciadiani, libici, nigerini, ecc.) ai quali è stato garantito il diritto di saccheggio. Non c’è legge né ordine nelle aree sotto il loro controllo”.
In tutto il Paese la situazione umanitaria è difficile. “A causa dei combattimenti, molti ospedali e cliniche sono stati distrutti o sono diventati inaccessibili – conclude la nostra fonte -. Molti medici e infermieri sono morti o sono fuggiti. Le strutture rimaste operative sono sovraffollate e spesso non hanno accesso a medicine, attrezzature o energia elettrica. Le cattive condizioni igieniche, la mancanza di acqua potabile e l’accesso limitato ai servizi sanitari stanno provocando focolai di malattie infettive come colera, malaria e morbillo. La malnutrizione, dovuta alla carenza di cibo, peggiora ulteriormente la situazione, indebolendo ulteriormente la resistenza della popolazione”.
Più di 3.000 bambini sono stati uccisi dalle Rapid Support Forces (Rsf) dall’inizio dei combattimenti in Sudan. La denuncia arriva dal Consiglio nazionale per il benessere dell’infanzia del Paese, un ente governativo, che ha inoltre affermato che oltre 5.000 bambini sono stati aggrediti sessualmente. “Le Rsf hanno ucciso più di 3.000 bambini, oltre ad averne utilizzati alcuni in operazioni di combattimento”, ha detto il segretario generale, Abdulqader Abdallah, al Sudan Tribune, citando resoconti di diversi stati.
Ha sottolineato che 57 ragazze che sono state violentate hanno partorito a Khartoum sotto la supervisione del ministero dello Sviluppo sociale. “Siamo nel processo di ricezione di queste bambine e di distribuzione alle famiglie affidatarie”, ha detto Abdallah.
“Crediamo che la famiglia sia l’ambiente migliore per i bambini affinché crescano sereni e non siano privati dell’istruzione come è successo in diversi Stati del Sudan dove ci sono bambini fuori dalla custodia dei genitori che lottano con la forza contro la Rsf”, ha aggiunto.
Abdallah ha affermato che i bambini aggrediti soffrono di stress emotivo, soprattutto perché le aggressioni spesso avvenivano davanti alle loro famiglie. Ha inoltre affermato che 10 milioni di bambini soffrono di malnutrizione a causa della mancanza di mezzi di sostentamento nelle famiglie sottoposte a pressione sugli stipendi mensili.