Agitu Ideo Gudeta, la pastora etiope immigrata in Italia, barbaramente assassinata la scorsa notte in Trentino, era una donna di grandi visioni, audace e dolce, come traspare da questo ritratto scritto da chi ha avuto la fortuna di conoscerla da vicino…
Boschi di larici, l’albero più amato dagli allevatori perché consente la crescita del prato anche sotto la sua chioma, si inerpicano sino alle pendici delle creste degli Agorai, una delle catene più selvagge delle Dolomiti.
E’ uno dei tratti distintivi della Valle dei Mocheni, in Trentino: un luogo che lo scrittore austriaco Robert Musil ha ribattezzato la “Valle Incantata”. E’ qui che la quarantaduenne pastora ed imprenditrice etiope Agitu Gudeta aveva installato un allevamento di capre mochene, una razza che rischiava l’estinzione. Non era la prima immigrata ad installarsi da queste parti. Sul lato sinistro della vallata intorno al 1200 si insediarono numerose famiglie che emigrarono dalla Germania (ancora oggi questo segmento della vallata è abitato dai loro discendenti che parlano una lingua che assomiglia al tedesco arcaico).
In seguito ad un aumento della popolazione della pianura bavarese, i signorotti germanici spronarono parte della loro popolazione contadina ad oltrepassare le Alpi e ad installarsi in alta quota, dove venivano dati loro dei terreni. Una chance, per questi immigrati bavaresi, di passare da servi della gleba a proprietari. Agitu non aveva nessun ‘signorotto’ alle spalle e la sua azienda se l’è costruita senza particolari aiuti.
In Italia era arrivata quando aveva 18 anni per studiare sociologia all’università di Trento. Dopo gli studi era tornata in Etiopia, che dopo alcuni anni fu costretta ad abbandonare per il suo impegno contro il land grabbing. Era il 2010 e tornò in Italia “con duecento euro in tasca”.
Ottenuto lo status di rifugiata iniziò la sua avventura di allevatrice battezzando il suo progetto con il nome “La capra felice”. Con grande determinazione ha messo in piedi un’azienda casearia in cui riusciva a conciliare la sostenibilità ambientale e la qualità della produzione, recuperando le specie di capre autoctone che faceva pascolare nei terreni demaniali abbandonati. Con gli anni ha recuperato un terreno di 11 ettari in abbandono e lo ha valorizzato come pascolo incontaminato per il suo gregge di capre.
Grazie alla passione ed alle conoscenze apprese dalla nonna materna, Agitu allevava le capre e lavorava il latte con metodi tradizionali producendo formaggi, yogurt e creme cosmetiche: tutto a base di latte caprino. Lo scorso ottobre, con un gruppo di ascoltatori di Radio Popolare, eravamo andati a trovarla in un negozio che aveva appena aperto a Trento per la vendita diretta delle sue produzioni. Non era solo uno spazio commerciale, c’erano sedie e un paio di tavoli per incontrarsi e parlare.
In quell’occasione ci aveva raccontato del suo ultimo progetto: aprire un agriturismo nella Valle dei Mocheni. “Siamo tutti emigrati” ci ha detto Agitu “Non c’è una destinazione fissa per nessuno. La libertà del movimento delle persone non può essere limitata, gli spazi sono di tutti coloro che li amano, li rispettano e ci vivono volentieri. Di chi è disponibile a portare un valore aggiunto a questo territorio che lo ospita. E chi viene da fuori può arricchirlo portando conoscenze e culture nuove per questi territori”.
Una donna coraggiosa, che non si faceva intimidire, come quando rimase vittima di stalking e denunciò episodi di razzismo. Una donna forte, audace, dolcissima.
Chi l’ha conosciuta non dimenticherà mai il sorriso con cui accompagnava i suoi racconti. Tutti, anche chi ha sentito il suo nome per la prima volta nella pagine di cronaca in cui si racconta del suo omicidio, non può non trarre insegnamenti dalla vita di una donna che voleva cambiare il mondo incominciando a far felici le sue capre…
(testo di Claudio Agostoni – foto di Bruno Zanzottera)