«Da quello che mi è stato riferito dai miei contatti, i Caschi Blu della Minusca (Missione Onu di stabilizzazione della Repubblica Centrafricana) non hanno difeso la popolazione dai ribelli che hanno commesso l’assalto ad Alindao. All’arrivo dei guerriglieri si sono ritirati nella loro base lasciando la popolazione al suo destino di morte e distruzione» dice all’Agenzia Fides Amos Boubas, un sacerdote centrafricano che studia a Roma e che è in contatto con i suoi confratelli nella Repubblica Centrafricana, dove il 15 novembre i ribelli ex Seleka dell’Ups (Unité pour la Paix en Centrafrique) agli ordini del generale Ali Darassa, di etnia Peul, hanno assalito la cattedrale di Alindao, nel sud del Paese, e il vicino campo di rifugiati.
«Dopo aver saccheggiato e incendiato la cattedrale i ribelli si sono diretti verso il campo di rifugiati dove hanno ucciso almeno 42 persone. Tra le vittime c’è il Vicario Generale della diocesi di Alindao, mons. Blaise Mada, che è stato sepolto ieri, e un altro sacerdote il cui corpo è stato ritrovato oggi, don Celestine Ngoumbango, parroco di Mingala – riferisce padre Boubas -. I due sacerdoti sono stati uccisi da colpi sparati durante l’assalto all’Episcopio dove si erano rifugiati insieme ad altre persone. Mons. Cyr-Nestor Yapaupa, Vescovo di Alindao, sta organizzando l’evacuazione dei sopravvissuti a Bangui, la capitale».
La motivazione del massacro sarebbe la vendetta per l’uccisione «di un musulmano» da parte delle milizie anti Balaka. «Penso che dietro a questo grave fatto di sangue vi siano motivazioni di carattere politico nel momento in cui la Francia ha presentato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu una risoluzione per prolungare di un altro anno il mandato della Minusca», conclude il sacerdote.