“Respingiamo categoricamente le accuse rivolte alle Fdlr, accuse che abbiamo visto circolate in alcuni media, e deploriamo l’atto ignobile commesso da questi criminali. Non sappiamo finora chi siano gli autori, ma quello che sappiamo, è che tutto è accaduto in prossimità di una postazione delle Fardc (le forze armate congolesi, Ndr) nei pressi della frontiera tra Congo e Rwanda”: lo ha detto stamani, a InfoAfrica, Cure Ngoma, portavoce delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (Fdlr), firmatario del comunicato con il quale, ieri, il gruppo ribelle di origine ruandese ha preso le distanze dall’imboscata costata la vita all’ambasciatore italiano Luca Attanasio, al carabiniere Vittorio Iacovacci, e all’autista congolese Mustapha Milambo nel Nord Kivu, a circa 25 km dalla città di Goma, sull’asse verso Rutshuru.
“Nella zona sono anche presenti in gran numero le forze di difesa ruandesi”, aggiunge Ngoma, riferendosi a truppe regolari dell’esercito di Kigali, che operano, secondo il portavoce ribelle, in connivenza con le Fardc. “Chiediamo un’inchiesta indipendente per determinare chi sia all’origine dell’accaduto” ha aggiunto Ngoma.
Entrate in Repubblica democratica del Congo a ridosso del genocidio ruandese del 1994 contro i tutsi, le Fdlr, all’origine una milizia hutu, sono da anni accusate di violenze e scontri nel fertile e ricco territorio del Nord-Kivu. Ai nostri microfoni, il loro portavoce sostiene di rivendicare un possibile ritorno in pace in patria – il Rwanda – chiedendo un sostegno da parte della comunità internazionale. “Chiediamo alla comunità internazionale di aiutarci a rientrare con dignità nel nostro Paese natale, a influenzare il regime di Kigali. L’est del Congo non è il nostro Paese. Il nostro Paese è il Rwanda”. Sono 27 anni circa che Ngoma si trova in Congo. Alla domanda su quanti siano i membri dell’Fdlr, il portavoce non ha voluto fornire un numero.
La reazioni dell’Fdlr ha a sua volta suscitato rabbia nell’opinione pubblica, che ricorda quanto il conflitto con questa e altre milizie armate nell’est del Congo sia causa di sofferenze tra i civili e di ostacoli alla pace e allo sviluppo.
Nel frattempo è previsto per oggi l’invio di una squadra della Presidenza a Goma, per supportare le indagini in corso e riferire regolarmente al capo dello Stato; oltre all’invio di un emissario incaricato di portare, sempre oggi, una lettera personale del presidente Felix Tshisekedi al Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi. Si tratta di decisioni che sono state prese ieri dopo la riunione di un comitato di crisi, presieduto dal Capo dello Stato Félix Tshisekedi a Kinshasa, presso la Città dell’Unione Africana. Lo riferiscono diversi siti d’informazione congolesi che precisano che durante la riunione si è esaminato il rapporto del governatore del Nord Kivu Carly Nzanzu Kasivita a seguito dell’assassinio dell’ambasciatore italiano.
La regione orientale della Repubblica democratica del Congo, Nord e Sud Kivu e Ituri, è da mesi al centro di un crescente numero di attacchi, contando da sola circa il 50% di tutte le violenze riconducibili a gruppi armati irregolari dell’intero continente africano. E’ quanto emerge dall’analisi dei bollettini mensili realizzati dal Centro antiterrorismo dell’Unione Africana (UA).
Solo ad ottobre, l’ultimo mese per il quale è disponibile un bollettino aggiornato, l’est del Congo è la regione dell’Africa che ha registrato il maggior numero di morti tra civili e terroristi. “Del numero totale di attacchi perpetrati in tutto il continente (195, ndr), 116 sono stati registrati nella zona, che rappresentano il 63% di tutti gli attacchi e segnano un 20% di aumento dai dati registrati nel mese di settembre. Questi attacchi hanno provocato la morte di 237 persone”.
Sempre dal bollettino del centro antiterrorismo africano si apprende che il gruppo armato dei Mayi Mayi (storica formazione nata tra la fine degli Anni ’90 e l’inizio dei ‘2000 come sorta di autodifesa dalle truppe che ruandesi che per alcuni anni occuparono una parte dell’area) è da mesi il gruppo più attivo nel Paese. Ai Mayi Mayi il centro affida la responsabilità di 82 attacchi (che hanno provocato 81 morti) mentre l’Adf (Allied Democratic Forces) ha condotto 10 attacchi che hanno provocato 12 morti.
L’Adf è una formazione ribelle ugandese di nascita, ma ormai da anni radicata nelle zone orientali del Congo al confine con l’Uganda. Guidata da Jamil Mukulu, un ex cattolico convertito all’Islam, è considerata vicina al movimento sunnita Tablighi Jamat e secondo molte fonti ufficiali è legata all’Isis e alle reti del terrorismo internazionale.
“Gli attacchi registrati nel mese di ottobre – si legge nel bollettino del Centro antiterrorismo dell’Unione Africana – evidenziano l’espansione della portata dell’estremismo terroristico e violento nella regione dei Grandi Laghi, che soffre l’azione di gruppi terroristici armati che minacciano la pace e la sicurezza e mirano alle enormi risorse economiche dell’area”.
Secondo il centro, “le crescenti attività terroristiche e violente estremiste nella regione dei Grandi Laghi sono le conseguenze dei molteplici conflitti persistenti nella parte orientale del Congo, e potrebbero anche essere influenzate dalle attività terroristiche e di estremismo violento in Mali, Niger, Nigeria, Burkina Faso, Ciad e Camerun”. “Anche le rivalità tra l’Isis e gli affiliati di Al Qaeda nella regione del Sahel potrebbero spingere uno dei due, l’Isis, a guardare ad una nuova area di espansione, che potrebbe essere l’Africa centrale” scrive concludendo la sua breve analisi dell’area il centro antiterrorismo dell’Unione Africana.
InfoAfrica / Africa Rivista