di Valentina Giulia Milani
Il conflitto in Sudan, iniziato il 15 aprile 2023 tra l’esercito sudanese e le Forze di supporto rapido, entra oggi nel suo terzo anno. La guerra ha causato oltre 29.600 morti, 13 milioni di sfollati e 25 milioni di persone in grave insicurezza alimentare. Con la carestia ufficialmente dichiarata in più aree, le violenze si intensificano, specialmente in Darfur.
Oggi il Sudan entra nel suo terzo anno di guerra. Il conflitto, esploso il 15 aprile 2023 tra le forze armate sudanesi (Saf) e le Forze di supporto rapido (Rsf), ha lacerato il Paese, trasformandolo in uno dei peggiori teatri di crisi al mondo. Dopo due anni di combattimenti, il bilancio è catastrofico: oltre 29.600 morti secondo l’Armed Conflict Location and Event Data (Acled), 13 milioni di sfollati secondo l’Onu e 25 milioni di persone in stato di insicurezza alimentare acuta. È il Sudan, oggi, l’unico Paese al mondo in cui la carestia è stata ufficialmente dichiarata in più aree.
Mentre il Paese entra nel terzo anno di conflitto, le forze in campo si sono riorganizzate e i fronti continuano a mutare. A Khartoum, capitale devastata da mesi di scontri, le Saf hanno riconquistato terreno, infliggendo pesanti perdite alle Rsf. Secondo fonti militari e civili, l’esercito ha ripreso il controllo di diverse aree strategiche della città, costringendo le milizie a ritirarsi da quartieri chiave e interrompendo alcune delle principali linee di rifornimento. Tuttavia, le operazioni restano complesse, con interi settori urbani ridotti in macerie e la popolazione intrappolata in condizioni disperate.

Nel Darfur settentrionale, la spirale di violenza si è ulteriormente aggravata. La milizia Rsf ha preso il controllo del campo profughi di Zamzam dopo due giorni di intensi bombardamenti e attacchi via terra. Secondo fonti umanitarie citate dalle Nazioni Unite, oltre 100 persone sarebbero state uccise, tra cui donne, bambini e operatori umanitari. Le Rsf sostengono di aver “liberato” la zona dalle Saf, accusate di utilizzare i campi come basi militari, ma fonti locali parlano di massacri deliberati e distruzione sistematica delle infrastrutture civili.
A Umm Kadada, a circa 180 chilometri a est di el-Fasher, almeno 56 civili sarebbero stati “giustiziati su base etnica” nel fine settimana dalle Rsf, dopo che la città è passata sotto il loro controllo. Le accuse, mosse dal Coordinamento dei comitati di resistenza di El Fasher, parlano di violazioni diffuse, sfollamenti forzati e interruzione delle comunicazioni. L’Iniziativa degli avvocati per l’emergenza in Sudan ha denunciato anche l’assalto all’ospedale locale, dove sarebbero stati uccisi quattro operatori sanitari, tra cui il direttore.
Le Rsf hanno negato di aver colpito civili, ma organizzazioni internazionali hanno più volte documentato stupri sistematici, esecuzioni sommarie, saccheggi e occupazioni di strutture sanitarie. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), oltre il 70% degli ospedali nelle aree colpite dal conflitto è fuori uso o distrutto.

In questo contesto, Medici Senza Frontiere (Msf) lancia un appello: “È la più grande crisi umanitaria al mondo”. In un comunicato diffuso alla vigilia dell’anniversario, l’organizzazione denuncia che milioni di persone non ricevono alcun aiuto umanitario, mentre il personale sanitario è bersaglio diretto di attacchi. Le équipe di Msf, attive in 10 Stati sudanesi, hanno assistito 1,7 milioni di persone in due anni. Solo nel 2024 hanno curato oltre 174.000 casi di malaria, 89.100 pazienti affetti da diarrea e 1.900 casi di morbillo.
“La popolazione civile è stata resa invisibile, vittima di una violenza sistematica che toglie loro ogni accesso al cibo, alla salute e alla sicurezza” – ha dichiarato Claire San Filippo, coordinatrice delle emergenze di Msf – “Ogni giorno che passa senza interventi concreti da parte della comunità internazionale è un giorno in più in cui vite innocenti vengono perse”. Nei campi profughi, le condizioni sono disperate. A Tawila, nel Darfur settentrionale, uno screening realizzato da Msf a dicembre 2024 su oltre 9.500 bambini sotto i cinque anni ha rivelato un tasso di malnutrizione acuta globale del 35,5%, con il 7% in stato grave. A Nyala, nel Darfur meridionale, il 26% delle donne incinte e in allattamento era gravemente malnutrito già a ottobre scorso.

Con l’arrivo imminente della stagione delle piogge, l’accesso agli aiuti rischia di essere ulteriormente compromesso. Le vie di comunicazione sono in rovina, i ponti distrutti, molte regioni completamente isolate. Msf esorta a revocare le restrizioni agli aiuti umanitari, aprire nuovi corridoi e garantire che le forniture raggiungano le comunità più colpite.
Dopo due anni di guerra, il Sudan è un Paese spaccato in due: l’esercito controlla il nord, l’est e ora gran parte della capitale, mentre le Rsf dominano il Darfur e alcune aree meridionali. Ma è l’intera popolazione a pagarne il prezzo.