di Tommaso Meo
A quasi due anni dallo scoppio del conflitto in Sudan, la Camera dei Deputati italiana ha ospitato una conferenza stampa congiunta della Comunità di Sant’Egidio, Medici Senza Frontiere e dei Missionari Comboniani, che hanno lanciato un appello al governo italiano per un impegno più deciso.
È giunto il momento che il governo italiano faccia la sua parte nei consessi internazionali per promuovere dei negoziati per cessate il fuoco e il rispetto dei diritti umani in Sudan, a quasi due anni dallo scoppio del conflitto. Questo l’appello lanciato dalla Camera dei Deputati, dove nei giorni scorsi si è tenuta una conferenza stampa convocata dalla Comunità di Sant’Egidio insieme a Medici Senza Frontiere e ai Missionari comboniani.
Marco Impagliazzo, segretario generale di Sant’Egidio, ha sottolineato l’importanza di accendere i riflettori sulla crisi sudanese, soprattutto dal cuore delle istituzioni italiane: “Visto l’interesse e l’impegno mostrato dal governo italiano per l’Africa, siamo convinti che questo sia il luogo opportuno per lanciare un messaggio chiaro: porre fine a questo conflitto e alleviare le sofferenze della popolazione”.
Anche l’eurodeputato del Partito democratico, Marco Tarquinio, intervenuto in collegamento da Bruxelles, ha rivolto un appello al governo affinché si interessi alle vicende africane non solo attraverso il “titolo altisonante” del Piano Mattei, ma favorendo percorsi concreti di cooperazione con la società civile. Tarquinio ha inoltre ricordato che il Parlamento europeo voterà in settimana una risoluzione sul Sudan, che tra le altre cose condannerà gli stupri di guerra, una “piaga terribile” e “un tratto costante delle crisi che continuano a susseguirsi”.
Marco Bertotto, direttore programmi di Medici Senza Frontiere, ha definito “agghiacciante” il silenzio intorno al Sudan, mentre milioni di civili faticano a ricevere aiuti umanitari, da cui dipende la sopravvivenza di metà della popolazione (25 milioni di persone). “Oggi solo cinque camion di aiuti attraversano ogni giorno il confine tra Ciad e Darfur”, ha spiegato, “ma solo per il campo di Zamzam ne servirebbero 400 al mese”. Bertotto ha poi evidenziato che la gravità della situazione non è imputabile soltanto alle fazioni in guerra: “Se non riusciamo a mobilitare attenzione e indignazione su quello che avviene in Sudan, non solo sarà impossibile affrontare il problema a livello politico, ma non riusciremo nemmeno ad alleviare le sofferenze umanitarie”.
Sulla stessa linea anche padre Jorge Naranjo, direttore del Comboni College of Science and Technology, che, collegato da Port Sudan, ha denunciato le “rotte ben conosciute e documentate” che alimentano il traffico di armi nel conflitto. “Si sa dove vengono prodotte queste armi e a chi giova questo commercio”, ha dichiarato, riferendosi in particolare agli Emirati Arabi Uniti e alla Turchia. “Il conflitto sudanese richiede aiuti umanitari, ma deve portarci a una riflessione più ampia: quale visione del mondo vogliamo abbracciare? Se ci limitiamo a mettere un cerotto, questa instabilità – alimentata dal proliferare delle armi – continuerà senza sosta”.

L’appello presentato alla Camera chiede al governo italiano non solo di facilitare l’arrivo degli aiuti umanitari, ma anche di rispettare l’embargo sulle armi imposto dall’Unione Europea e di farsi promotore, in sede Onu, dell’estensione del divieto a tutto il Sudan, attualmente limitato al Darfur. Il monito riguarda anche l’Italia: pur non risultando un coinvolgimento diretto nella fornitura di armi alle parti in conflitto, esiste il rischio di triangolazioni. Per questo motivo, si chiede particolare attenzione alla vendita di armamenti a Paesi come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, attori chiave nel conflitto, anche alla luce dell’aumento del 138% delle esportazioni italiane di armi negli ultimi cinque anni, secondo i dati Sipri,.
Le organizzazioni della società civile firmatarie dell’appello pretendono inoltre dal governo che gli accordi bilaterali sui flussi migratori rispettino i diritti umani, oltre a una maggiore vigilanza sull’utilizzo dei fondi europei destinati al controllo delle frontiere sudanesi. L’Italia, si legge nel documento, deve continuare assicurare il diritto d’asilo, in linea con gli impegni internazionali sottoscritti, riconoscendo che le conseguenze della guerra in Sudan possono estendersi ben oltre i confini africani, arrivando a coinvolgere direttamente l’Europa.

L’appello è stato firmato da Comunità di Sant’Egidio, Famiglia Comboniana in Italia, Fondazione Missio, Medici Senza Frontiere, Libera, Movimento Nonviolento, Centro missionario diocesano di Verona, Fondazione Toniolo Verona, Il Mondo di Irene.
Il Sudan è dilaniato da ormai due anni da una guerra civile scatenata dalla bramosia di potere di due generali e alimentata dagli interessi geostrategici di potenze straniere. La drammaticità dei numeri e le stragi quotidiane dei civili non fanno notizia. Da aprile 2023, milioni di persone hanno dovuto abbandonare le proprie case, migliaia sono state uccise e innumerevoli altre soffrono la fame nel Paese dell’Africa nord-orientale.