di Enrico Casale
La Somalia è avviata a un destino simile a quello dell’Afghanistan quando si ritirarono le truppe internazionali e il Paese fu conquistato dai talebani? Una domanda pressante per la comunità internazionale e per il governo di Mogadiscio. Il vero nodo è il ritiro di Atmis, la missione militare dell’Unione africana che, dal 2022, sta affiancando le truppe somale assicurando il controllo di aree strategiche del Paese contro gli attacchi delle milizie fondamentaliste di al-Shabaab.
I militari della missione, ugandesi, burundesi, gibutini ed etiopi, hanno già iniziato una fase di sgancio che si concluderà a fine 2024. Alcune basi sono già state consegnate alle forze armate somale. “Il dubbio è se le truppe somale reggeranno l’impatto di una possibile offensiva di al-Shabaab – osserva Corrado Cok, analista dell’European Council on Foreign Relations -. A parte alcuni reparti speciali addestrati da Stati Uniti e Turchia (Danab e Gorgor) e altri addestrati da Emirati Arabi Uniti e Unione Europea, le forze armate somale hanno un livello assai basso di formazione. Mancano di organicità tra i reparti e non hanno armamenti, dotazioni logistiche e sistemi di trasmissioni all’altezza. Ciò li espone alla violenza dei jihadisti che, al contrario, sono bene armati e conoscono alla perfezione le tattiche della guerriglia”. Il ritiro di Atmis potrebbe essere rallentato nella sua ultima fase, in modo da assicurare il controllo di alcuni nodi strategici.
Nella lotta contro i jihadisti un ruolo importante è rivestito dalle milizie claniche. «I clan hanno strutture militari bene organizzate e bene armate – continua Cok -. L’offensiva condotta contro al-Shabaab nel 2022 che ha costretto i miliziani fondamentalisti a ritirarsi da molte zone, è in gran parte attribuibile agli uomini del clan Hawiye, il principale della Somalia. Sono stati loro a contrastare i jihadisti e a cacciarli da parte della Somalia centrale. Quando si tratta della sicurezza i clan hanno una grande capacità di intervenire e riportare ordine».
Al-Shabaab è una minaccia ancora attiva. Economicamente forte (grazie al traffico di carbone fossile e ai taglieggiamenti della popolazione e degli imprenditori), ha creato una struttura militare che controlla ampie aree nel Jubaland e nel South West State, e continua a portare attacchi alle forze armate locali. Da alcuni anni poi è presente anche una piccola cellula dell’Isis nel Puntland, al Nord della Somalia. “Al-Shabaab – osserva Cok – è un avversario temibile per le autorità somale e i loro alleati. Non sarà né facile né immediato averne ragione. Per quanto riguarda l’Isis, per il momento è un piccolo gruppo che ha tentato di rivitalizzare, insieme alla pirateria locale, la pirateria nello Stretto di Aden. Vedremo in futuro se riuscirà o meno a prendere piede. Va detto che le relazioni tra al-Shabaab e Isis sono pessime e spesso si combattono”.