La guerra civile in Libia potrebbe essere a una svolta. Le forze fedeli al governo di Tripoli hanno annunciato la presa della base aerea di al-Watiya, circa 130 km a sud-ovest della capitale. Si tratta di una vittoria importante perché è caduta una posizione strategica delle milizie del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte di Bengasi.
Il generale Osama al-Juwaili, capo della Sala operazioni congiunte, ha annunciato sul profilo Facebook del governo di Fayez al-Sarraj: «Le nostre forze eroiche hanno preso il controllo della base aerea di Al-Watiya». L’operazione «Vulcano di rabbia», la controffensiva delle milizie legate a Tripoli, ha così smorzato l’offensiva che da più di un anno il generale Haftar aveva lanciato sulla capitale con l’obiettivo di occuparla e far cadere il governo di al-Sarraj. Il sostegno delle forze armate turche, la discesa in campo di tremila miliziani siriani, l’invio di nuove armi e il sostegno economico del Qatar hanno capovolto le sorti del conflitto. Ora le milizie di Haftar sono in ripiegamento e l’assedio a Tripoli si sta allentando.
Nelle prossime settimane ci diranno quale sarà l’atteggiamento che terranno i potenti alleati di Haftar: Emirati arabi uniti, Egitto, Russia (e, dietro le quinte, Francia). Finora, oltre a cospicui finanziamenti, hanno inviato mezzi e uomini (i famigerati mercenari russi del Gruppo Wagner), ma ora? Tamponeranno il fallimento delle milizie della Cirenaica oppure le abbandoneranno alla loro sorte venendo a patti con Tripoli?
Quello che è certo è che la Turchia non lascerà il fedele alleato al-Sarraj. Il supporto logistico e dei consiglieri sul campo non solo non è mai venuto meno in queste settimane, ma si è anzi rinforzato. Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan sta giocando sulla scacchiere libico una partita delicata. È grazie all’intesa con Tripoli (rigettata dalla comunità internazionale) che Ankara ha allargato la sua zona di influenza su tutto il Mediterraneo orientale e punta allo sfruttamento dei grandi giacimenti di idrocarburi al largo di Cipro. Non si stratta quindi di una semplice amicizia sull’onda di una comune fede nell’Islam politico (di cui Erdogan e al-Sarraj sono due esponenti di primo piano), ma in gioco ci sono interessi più prosaici.
Intanto il conflitto e la pandemia stanno mettendo a dura prova la popolazione mettendone a rischio salute e sicurezza. Circa 400.000 libici sono stati sfollati dall’inizio del conflitto 9 anni fa, circa la metà dei quali nell’anno passato, da quando l’attacco alla capitale, Tripoli, è cominciato.
Di qui l’appello di Unhcr, Oms, Oim, Unicef, Ocha, Unfpa e Wfp, che in una dichiarazione congiunta hanno chiesto la fine dei combattimenti in Libia e la protezione dei civili: «Nonostante gli appelli ripetuti per un cessate il fuoco umanitario, anche dal segretario generale delle Nazioni Unite, le ostilità continuano senza sosta, impedendo l’accesso e la consegna di aiuti umanitari fondamentali» si legge in una nota congiunta. «Gli operatori umanitari affrontano sfide significative ogni giorno per portare avanti la loro missione. A marzo 2020, i partner umanitari hanno riportato un totale di 851 restrizioni di accesso ai movimenti di personale e aiuti umanitari all’interno e verso la Libia».
(Tesfaie Gebremariam)