Con la proclamazione dell’indipendenza da parte del Governatore militare della Nigeria Orientale, Odumegwu Ojukwu, iniziava il 30 maggio 1967, cinquant’anni fa, la guerra del Biafra. È stata una dei primi e certamente una dei più cruenti conflitti della stagione che è seguita alle indipendenze africane.
La scintilla che accende gli scontri è la decisione dell’allora capo dello Stato Yakubu Gowon di dividere la Federazione nigeriana in 12 Stati di cui tre nel Sud-Est, regione, oggi come allora, ricca di petrolio. Il Biafra riesce a mantenere la sua autonomia. Ma non basta. La regione, meno del 10% del territorio nigeriano, ha una popolazione di 14 milioni di persone (su 55 della Federazione), per lo più cristiana e per due terzi di etnia igbo. Fin dall’indipendenza, gli igbo si sentono emarginati dalla vita socio-politica nigeriana e perseguitati dagli altri due principali gruppi etnici, gli hausa-foulani (Nord) e gli yorouba (Sud-Ovest).
Così, già nel gennaio 1966, la Nigeria assiste a un primo colpo di Stato. I media puntano il dito contro gli ufficiali igbo. La reazione è durissima e molti igbo vengono massacrati nel Nord. Due milioni di essi decidono di trasferirsi nella regione natia. La tensione sale ancora e sfocia nella dichiarazione di indipendenza. Ma il Governo nigeriano non può accettare che una delle sue regioni più ricche si stacchi e diventi indipendente. Il Biafra ha un’agricoltura floridissima e, soprattutto, è ricchissimo di idrocarburi.
La reazione è quindi violenta. Il Presidente federale dichiara la secessione un «atto di ribellione» e annuncia che «verrà schiacciata». Le autorità militari federali organizzano un blocco commerciale della regione meridionale. Scatta poi un’offensiva militare sul terreno, preparata da forti bombardamenti aerei.
La Nigeria è sostenuta dalla Gran Bretagna, ex potenza coloniale, ma anche da Stati Uniti, Unione Sovietica e dall’Organizzazione per l’unità africana. I secessionisti trovano il sostegno solo di Portogallo, Francia (che mira ad ampliare la propria zona di influenza in una regione ricchissima) e da alcuni Stati africani (tra i quali la Rhodesia).
L’offensiva dell’esercito nigeriano sarà implacabile e accompagnata da violazioni dei diritti umani. Nel frattempo il Biafra è colpito da una drammatica carestia che affama tra gli otto e i dodici milioni di persone. Il mondo viene a sapere di quella tragedia dai primi filmati in bianco e nero che vengono trasmessi dai telegiornali. Si vedono i volti dei bambini sofferenti e malnutriti. Passano le immagini dei violenti combattimenti.
Una manciata di medici francesi, tra cui il futuro ministro francese Bernard Kouchner, colpita dalla tragedia e non soddisfatta del lavoro delle istituzioni internazionali decide di intervenire. Da quella loro azione, nel 1971, nascerà Medici senza Frontiere, organizzazione ancora attiva negli interventi di emergenza in situazioni di guerra.
Intanto i soldati nigeriani prendono una città dopo l’altra. All’inizio del 1970, l’esercito federale lancia il suo ultimo assalto. Il 15 gennaio l’incubo finisce: il Biafra non esiste più. Ojukwu fugge in Costa d’Avorio. I militari biafrani si arrendono. Alla fine, quando la follia termina, i morti saranno
più di un milione, se si sommano le vittime della fame a quelle della guerra vera e propria. Quella ferita procurerà dolore ancora per molto. E oggi, a cinquant’anni di distanza, tornano anche le rivendicazioni di indipendenza (represse dal Governo di Abuja). Segno che l’insoddisfazione verso la Nigeria non è venuta meno nelle regioni del Sud-Est.