Di Federico Pani – Centro studi AMIStaDeS APS
L’operato di Joe Biden nei confronti del continente africano è stato segnato da promesse ambiziose ma risultati limitati. Tra l’organizzazione di un Summit con i leader africani nel 2022, il sostegno a una riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e la gestione della crisi in Sudan, l’Africa non è forse mai diventata una priorità. L’approccio di Biden, seppur propositivo, lascia spazio a critiche sulla mancanza di un impegno paritario e concreto, e apre dubbi sulla continuità di queste politiche sotto l’imminente presidenza Trump.
La settimana si è aperta con la visita del presidente uscente Joe Biden in Angola, un viaggio che giunge a conclusione del suo mandato. Promesso da tempo ma realizzato solo negli ultimi giorni della sua presidenza, questo spostamento sul continente africano sembra essere una risposta tardiva all’impegno dichiarato di dare maggiore attenzione alle relazioni con l’Africa. Il tempismo della visita non passa inosservato. Arrivare in Angola nel pieno della transizione verso la nuova amministrazione del presidente eletto, il repubblicano Donald Trump, solleva dubbi sulle reali priorità della Casa Bianca.
Tre grandi temi definiscono oggi gran parte dell’eredità che Joe Biden lascia nelle relazioni tra Stati Uniti e il continente africano: il suo impegno personale per l’Africa, il sostegno all’inclusione di alcuni Paesi africani nelle istituzioni globali e la gestione della crisi in Sudan.
Sebbene l’amministrazione Biden abbia delineato una strategia per l’Africa nel 2022, con l’intento di modernizzare i rapporti bilaterali, i risultati raggiunti mostrano una realtà più complessa, che ha spesso faticato a raggiungere traguardi concreti. Questa strategia aveva come obiettivo un partenariato paritario con l’Africa, basato su investimenti e obiettivi condivisi. A concretizzarla, il vertice dei leader USA-Africa organizzato a Washington nel dicembre dello stesso anno, che ha visto la partecipazione di 49 leader africani. Durante il summit, l’amministrazione Biden ha promesso investimenti per 55 miliardi di dollari, destinati a settori cruciali come energia, infrastrutture e sanità.
Nonostante il significato simbolico dell’evento, le critiche non sono mancate. La scelta di ospitare il vertice negli Stati Uniti, invece che nella sede dell’Unione Africana ad Addis Abeba, è stata interpretata da alcuni come una mancata dimostrazione di uguaglianza. A ciò si aggiunge il ritardo nella realizzazione dei progetti annunciati, che ha indebolito la percezione di un autentico impegno da parte di Washington.
Un altro elemento chiave della visione di Biden è stato il sostegno a una riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per includere due seggi permanenti destinati ai paesi africani. Sebbene il presidente americano abbia espresso un appoggio formale, la proposta rimane carica di incertezze. La complessità del processo di modifica della Carta delle Nazioni Unite e i dubbi su quali nazioni africane potrebbero ottenere i seggi hanno sollevato divisioni sia a livello internazionale che all’interno dell’Africa stessa. Dal lato africano, la proposta di riforma ha infatti innescato diversi interrogativi nell’immediato, tra cui: quali due stati africani si uniranno? Quali saranno i criteri di selezione? Su questo punto il dibattito è ancora aperto.
Anche la crisi in Sudan rappresenta uno dei dossier più delicati gestiti dall’amministrazione Biden. All’inizio, gli sforzi si sono concentrati sull’evacuazione del personale diplomatico statunitense da Khartoum. Solo in seguito Biden ha spostato l’attenzione sul tentativo di fermare il flusso di armi che alimentano il conflitto. Questa posizione ha suscitato perplessità e critiche. L’annuncio del presidente è apparso contraddittorio agli occhi di molti osservatori, poiché, appena un giorno prima, Biden aveva incontrato alla Casa Bianca Mohamed Bin Zayed, presidente degli Emirati Arabi Uniti, accusati da alcune fonti di rifornire di armi le milizie sudanesi delle Rapid Support Forces (RSF).
Mentre il mandato di Biden volge al termine, il bilancio del suo impegno con l’Africa appare complesso. Se da un lato sono stati compiuti passi significativi per riaffermare l’importanza del continente nello scenario globale, dall’altro restano molte promesse non mantenute e ambiguità che rischiano di minare la credibilità degli Stati Uniti come partner strategico.
Un messaggio più incoraggiante di partenariato paritario sarebbe stato trasmesso se il vertice dei leader USA-Africa, ad esempio, si fosse tenuto presso la sede centrale dell’Unione Africana in Etiopia. Una decisione in tal senso avrebbe dato modo a Biden di interagire con i leader africani nella definizione di un’agenda congiunta e la ricerca del consulto dei leader africani, delle istituzioni e della società civile sulle priorità del continente e nel definire le politiche che lo riguardano.
Il futuro delle relazioni USA-Africa dipenderà ora dalla volontà e dalla capacità della prossima amministrazione di raccogliere e rafforzare i semi piantati durante la presidenza Biden. Tuttavia, è improbabile che questa agenda incompiuta trovi nuova linfa sotto la presidenza di Donald Trump. Durante il suo primo mandato, Trump ha lasciato una traccia di politiche divisive verso il continente: la controversa definizione degli stati africani come “shithole countries” e i divieti di visto imposti a nazioni come Nigeria, Sudan, Somalia, Eritrea e Tanzania, sono esempi che alimentano scetticismo sulle future relazioni USA-Africa.
La sfida per l’Africa, dunque, non si esaurisce con la fine della presidenza Biden. Il continente dovrà continuare a lottare per affermare il proprio ruolo nello scenario globale e per ottenere un dialogo autentico e rispettoso da parte delle grandi potenze. Le promesse di partenariato, finora, sembrano più vicine alla retorica che alla sostanza, lasciando spazio a un futuro che resta incerto e complesso.