di Céline Camoin
Era totalmente inaspettata ed è stata accolta con un misto di sorpresa, interrogativi e irritazione l’annunciata visita in Burkina Faso, già oggi, dell’ex presidente Blaise Compaoré. Così hanno reagito diverse fonti di InfoAfrica molto attente alle dinamiche del Burkina Faso, sceso sempre più in basso nel baratro dell’instabilità, dell’insicurezza e della crisi umanitaria.
Solo tre mesi fa l’ex presidente, rovesciato dopo 27 anni al potere da una rivolta popolare alla fine del 2014, è stato condannato in contumacia all’ergastolo per la sua partecipazione all’assassinio del suo predecessore Thomas Sankara – icona del panafricanismo e padre della nazione – ucciso con dodici dei suoi compagni in un colpo di Stato nel 1987, dal Tribunale militare di Ouagadougou. La famiglia di Thomas Sankara ha immediatamente reagito chiedendo l’arresto dell’ex leader, che da otto anni gode di protezione e di asilo in Costa d’Avorio e che non si è mai presentato alla sbarra durante lo storico processo.
Il segnale, a detta delle fonti di InfoAfrica, non è positivo ma potrebbe essere stato necessario, agli occhi degli attuali detentori delle redini del Paese, per uscire dal caos instauratosi con la netta avanzata degli attacchi armati degli ultimi anni e mesi, e ancora, per preparare la fine della transizione dopo il golpe militare del 25 gennaio scorso. Un colpo di Stato che ha portato alla presidenza il colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba, un ex del reggimento di protezione presidenziale che guidava il generale Gilbert Diendéré (anche lui condannato all’ergastolo per l’omicidio d Sankara) ed ex capo di operazioni anti terroristiche sul fronte.
Le nuove autorità militari non stanno riuscendo a fermare gli attacchi, quasi quotidiani, ed è lì che potrebbe intervenire Compaoré, che sotto il suo regime era riuscito a concordare un certo ‘equilibrio’ con i vari clan e trafficanti attivi soprattutto nel nord, ai confini con il Mali e con il Niger. Clan e contrabbandieri che oggi si sono ‘convertiti’ in quelli che vengono definiti “terroristi”, e che potrebbero aver stretto alleanze di convenienza, con le milizie affiliate alla rete di Al Qaeda che opera nella banda del Sahel e cerca di estendersi verso la costa dell’Africa occidentale. Una rete che, a detta delle stesse fonti, ha già stretto le maglie nel nord del Paese e che sta creando un proprio giro di ‘informatori’ nei pressi della capitale, attraverso gli insediamenti di sfollati. L’anziano Compaoré – è solo un’ipotesi – potrebbe quindi essere utile in una possibile trattativa con queste retei criminali per cercare di ripristinare un minimo di sicurezza nel Paese.
Altri osservatori analizzano questo ritorno come la sconfitta dell’immagine dei golpisti ‘panafricanisti’ che non hanno preso il potere per salvare i burkinabè, ma bensì per restaurare (come precisa il nome del consiglio militare) l’ordine precedente, ovvero quello di Compaoré e, nella scia, dell’influenza della Francia.
Il giornale burkinabé Le Pays condivide la grande sorpresa di fronte all’imminenza del ritorno in patria di Compaoré e si pone numerose domande. “Cosa può aver accelerato i tempi, tanto che i Burkinabè sono stati colti alla sprovvista? Che dire del suo fascicolo giudiziario, quando sappiamo che è condannato all’ergastolo dalla giustizia militare? Ci stiamo muovendo verso una grazia? Dovrà passare dal carcere? Come sarà accolto dall’opinione pubblica nazionale?” E ancora, che forma assumerà questo ritorno sapendo che i burkinabè sono ancora divisi sull’argomento? Sarà un ritorno sotto i riflettori, o più sobrio possibile per non accendere gli animi dei suoi detrattori?
Ufficialmente, Compaoré arriva nel Paese per un incontro, previsto per oggi a Ouagadougou, tra Damiba e i suoi cinque predecessori: Jean-Baptiste Ouédraogo, Yacouba Isaac Zida, Michel Kafando, Roch Marc Christian Kaboré, e, appunto Blaise Compaoré.