di Andrea Spinelli Barrile
Il fenomeno raccontato da Colette Coleman sul New York Times viene chiamato Blaxit: è quel fenomeno di migrazione al contrario per cui le persone nere americane stanno migrando verso Paesi africani, come Sierra Leone, Uganda e Ghana. Questi migranti statunitensi sostengono di voler tornare in Africa per ricollegarsi alle loro radici ancestrali, godere di un basso costo della vita, smetterla di subire discriminazioni e vivere in società in cui “la razza” è un’idea sostanzialmente astratta e inesistente.
Le persone nere rappresentano oggi il 14% della popolazione statunitense ma recenti fenomeni epocali, come la pandemia di Covid e la resa dei conti razziale nella società americana sulla scia dell’omicidio di George Floyd, hanno portato alcuni neri americani a cercare uno stile di vita diverso all’estero, in Africa, in un movimento che alcuni chiamano “Blaxit”. È un modello migratorio che non guarda tanto al denaro quanto più l’accettazione, un percorso che nei decenni scorsi è stato già intrapreso da numerosi intellettuali e artisti e che ora sembra essere sempre più comune, sociale, complice anche i nuovi modelli di realtà lavorativa, che permettono a chiunque di lavorare in remoto più o meno da ovunque.
Questa spinta è accolta a braccia aperte dall’Africa: politiche immigrazioniste come il programma per la cittadinanza della Sierra Leone o la campagna Beyond the return del Ghana sono un volano interessante per chi vuole trasferirsi in Africa: tra il 2019 e il 2023, secondo l’Ufficio per gli affari della diaspora del Ghana, almeno 1.500 persone afroamericane di passaporto statunitense si sono trasferite in Ghana e, nonostante alcune politiche diametralmente opposte in materia di diritti civili rispetto alla loro provenienza come la legge anti-Lgbt, il flusso continua imperterrito ancora oggi.
Sicuramente c’è il tema dell’accoglienza e della de-razzistificazione: “Vedere i neri africani sui soldi, sui cartelloni pubblicitari, ti fa eliminare immediatamente la tua nerezza” ha detto al quotidiano statunitense Ashley Cleveland, 39 anni, madre di due figli che gestisce un’azienda che aiuta gli stranieri a investire e far crescere le loro attività in Africa, si è trasferita da Atlanta a Dar es Salaam, in Tanzania, nel 2020 e ora vive in Sudafrica. Dice di apprezzare il fatto che “in gran parte dell’Africa la razza è un concetto astratto”.
Questo movimento di persone nere dall’America all’Africa è agevolato da numerose organizzazioni come l’Exodus club che, fondato nel 2017, aiuta gli afrodiscendenti a tornare nel continente e, secondo le sue stime, la domanda è cresciuta almeno del 20% ogni anno dalla sua fondazione, quando contava circa 30 clienti.
Erieka Bennett, 73 anni, fondatrice dell’organizzazione no-profit Diaspora african forum, ha detto al New York Times che i neri americani sono arrivati in Ghana “a frotte” nel 2020. E continuano ad arrivare. Bennett, che vive in Africa da 40 anni, ha detto che molti americani non sono tagliati per la vita in Africa e ha esortato coloro che stanno pensando di trasferirsi a visitarla, prima di prendere la decisione: “L’Africa non è per tutti”.