Un’altra voce, questa volta interna al mondo islamico, si aggiunge a recenti interventi su questo sito, riprendendo il tema delle reazioni alle caricature del Profeta e alle offese alla sua religione. «Il Corano raccomanda l’autocontrollo. Senza rilanciare. Senza violenza».
Per molti musulmani le caricature del Profeta sono offensive, volgari o imbarazzanti. Esse rappresentano un attacco alla persona santa del Profeta, una falsa accusa (poiché veicolano immagini di barbarie, pornografia o violenza) e possono essere considerate un attacco contro l’islam stesso.
Come rispondere dunque alle caricature se si è musulmani? Quanto scritto nel Corano, il libro santo dell’islam, offre risposte chiare. Basta avere la pazienza di leggere.
Chi reagisce in modo sproporzionato diventa l’aggressore
Il Corano pone anzitutto un limite alla tentazione di vendicare un’offesa. La legge del taglione è consentita, ma a condizione che sia strettamente proporzionata al danno subito (Sura 2.194). Ogni reazione sproporzionata è condannabile (2.178; 2.194). Nessuna offesa, verbale o scritta, insulto o caricatura può quindi giustificare un appello alla violenza e all’omicidio, nemmeno al boicottaggio dei prodotti di un Paese. La logica è implacabile: occhio per occhio, dente per dente in relazione alle caricature del Profeta si può declinare in una risposta… sotto forma di caricature.
Ma il Corano aggiunge subito che perdonare è meglio che esercitare la legge del taglione: la legge del taglione è un diritto, ma qualunque sia l’offesa, l’offeso si eleva moralmente non domandando riparazione (5.45; 16.126; 42.40). Recita il Corano: «Se punite, fatelo nella misura del torto subito. Se sopporterete con pazienza, ciò sarà [ancora] meglio per coloro che sono stati pazienti» (16.126). E ancora: «Per loro prescrivemmo vita per vita, occhio per occhio, naso per naso, orecchio per orecchio, dente per dente e il contrappasso per le ferite. Quanto a colui che vi rinuncia per amor di Allah, varrà per lui come espiazione» (5.45).
Un messaggio che riecheggia quello di Gesù nel Vangelo (Mt 6,12; 18,32-33): il perdono vale più della reciprocità, perché chiunque vorrà domandare perdono a Dio dovrà anzitutto perdonare agli altri (3.134; 42.37; 45.14). Il Corano sintetizza anche quella che deve essere la risposta a un’offesa: «La sanzione di un torto è un male corrispondente, ma chi perdona e si riconcilia, avrà in Allah il suo compenso. In verità Egli non ama gli ingiusti» (42.40). La risposta del Corano è inappellabile: chi reagisce in modo sproporzionato diviene l’ingiusto («agresseur»).
«Schernite pure!»
In caso di controversie o polemiche riguardanti la religione, l’uomo non deve cercare di farsi giustizia da solo, né di imporre la sua visione ad altri (6.164; 22.67-69; 39.46; 45.17). Il Corano dice esplicitamente che spetta a Dio giudicare, ed Egli lo farà, non in questo mondo ma nell’altro: «Allah giudicherà tra di voi, nel Giorno della Resurrezione, a proposito delle vostre divergenze» (22.69). I profeti sono stati sovente derisi e la loro risposta è di non reagire e di rimettersi al giudizio di Dio nella vita futura. È il caso, ad esempio, di Noè (11.38). Davanti alla derisione o al blasfemo, il Corano raccomanda dunque la pazienza, il non reagire, il rimettersi al giudizio di Dio nella vita futura: «Di’ loro: “Schernite pure!”», precisa il testo sacro (9.64).
Il Corano raccomanda esplicitamente di non disputare con chi si fa beffe della religione islamica: «Nessuna polemica tra noi e voi», poiché è Dio che giudicherà alla fine (42.15). Se dei musulmani sentono un discorso contrario alla propria religione, essi «se ne allontanano dicendo: “A noi le opere nostre e a voi le opere vostre. Pace su di voi! Noi non cerchiamo gli ignoranti”» (28.55). E ancora: «Quando li vedi immersi in discussioni sui Nostri segni, allontanati finché non cambiano argomento» (6.68).
Il messaggio è chiaro: evitare il conflitto, evitare la polemica quando alcuni denigrano o deridono il Corano. E, facendolo, conservarne un atteggiamento conciliante, senza alcuna risposta violenta, nemmeno verbalmente (7.199). È Dio che giudicherà ciascuno per le sue convinzioni, oltre che per il bene e il male che ha fatto. Se questo di applica al Corano, il libro santo dell’islam, si applica a fortiori a una caricatura del Profeta, anche insultante o volgare.
In generale, il Corano raccomanda l’umiltà e la benevolenza, anche verso i non credenti (7.199; 25.63). Ad esempio: «I servi del Compassionevole: sono coloro che camminano sulla terra con umiltà e quando gli ignoranti si rivolgono loro, rispondono: “Pace!”» (25.63). Come insegna la psicologia, meglio non dare troppa importanza all’insulto per non offrirgli una cassa di risonanza (cfr. P. Watzlawick, Gli assiomi della comunicazione).
Ciascuno ha la libertà di credere in ciò che vuole, nella sua anima e in coscienza. Non si tratta, per il credente, di controllare il pensiero altrui, ma di sforzarsi per sé stesso di praticare la fede. La logica è semplice: ciascuno è responsabile della sua fede e non di quella altrui. Detto altrimenti: il rifiuto di polemizzare sulla religione deriva dalla libertà individuale di ciascuno (16.164). Per questo, nelle discussioni sulla religione, occorre dare prova di moderazione (16.125). Non si può forzare qualcuno a credere. Nemmeno il Profeta poteva convincere coloro che non intendevano accogliere il suo messaggio: il foro interno resta di dominio personale (28,56; 46.23). E nessuno può sapere tutto: solo Dio conosce tutto (18.22). Occorre dunque accettare di non voler avere ragione sugli altri e di cercare per sé stessi, continuamente, il proprio cammino spirituale.
Umiltà e benevolenza
Di fatto, il Corano insiste sulla responsabilità morale individuale di ogni uomo e ogni donna: ciascuno deve assumersi la responsabilità delle proprie azioni individualmente e nessuno può avvalersi delle ingiunzioni di altri per sfuggire alla moralità delle proprie azioni (2.48 ; 17.13, 15 ; 19.95 ; 75.13-15 ; 82.19). Ad esempio: «Al collo di ogni uomo abbiamo attaccato il suo destino» (17.13; le parti del corpo avevano significato simbolico e il «collo» rappresentava la responsabilità – NdR).
Seguire il consiglio o il precetto di altri non svincola dalla propria responsabilità morale (6.164). Questo significa che non si deve cedere alle emozioni collettive e occorre dare prova di moderazione individuale.
Credere in Dio è cruciale nell’islam, ma non è compito dell’uomo farsi giustizia al posto di Dio. Voler convincere gli altri sulla religione è ritenuto «futile» (cfr. 43,83). Certo, si può annunciare il messaggio divino, ma il destinatario dell’annuncio esercita la sua piena responsabilità individuale nel giudicare il messaggio e decidere se seguirlo o meno. Ciascuno è responsabile per sé stesso (cfr. ad esempio 6.69).
Prossimità tra i monoteismi
Come ha scritto Hannah Arendt (La crisi della cultura), il monoteismo suppone un soggetto responsabile individualmente, poiché ciascuno sarà giudicato sulla base delle proprie azioni nell’altro mondo. L’islam non fa eccezione e la prossimità culturale con gli altri due monoteismi è più forte di quanto si creda.
Spetta dunque a ciascuno esercitare il proprio giudizio, crescendo in autocontrollo e moralità. La lotta per essere una persona migliore è una lotta costante. Non possiamo essere responsabili per gli altri – per le azioni o le convinzioni altrui, meno che mai per gli insulti – ma si può essere responsabili di sé stessi – delle proprie azioni e convinzioni e della propria reazione agli insulti. Vi è qui uno dei sensi più profondi del Corano. Un messaggio che ricorda le filosofie umaniste del giudaismo, del cristianesimo o dello stoicismo.
Le caricature del Profeta sono offensive. Di fronte a un insulto o a un’offesa, il Corano raccomanda l’autocontrollo. Senza rilanciare. Senza polemica. Senza violenza.
L’autore, di religione musulmana, è docente di psicologia sociale presso la Essec Business School di Parigi, ed è specialista di risoluzione dei conflitti e di cultura araba. Il suo testo (tradotto dal francese a cura di SettimanaNews) è apparso su Inter Fratres Informations EUF (agosto-dicembre 2020).
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Foto Firdaus Latif