di Michele Vollaro
Sono sei le vittime a seguito del passaggio del ciclone Emnati sulle regioni meridionali del Madagascar la settimana scorsa, ma il bilancio sarebbe stato di certo più alto se le autorità locali non avessero evacuato preventivamente dalle loro abitazioni più di 45.000 persone.
Con venti che hanno raggiunto punte massime di 175 chilometri orari, la perturbazione ha toccato terra nella notte tra martedì e mercoledì scorsi lungo la costa orientale dell’isola, tra le località di Mananjary e Manakara. L’impatto è stato violento, accompagnato da mareggiate e piogge torrenziali che hanno causato – secondo il Centro nazionale malgascio per la gestione dei rischi e delle catastrofi (Bngrc) – la distruzione di oltre 12.000 abitazioni e quasi 2000 aule scolastiche. Il vortice ha poi proseguito la sua corsa attraversando longitudinalmente tutta l’isola, per poi disperdersi progressivamente nelle acque meridionali del canale di Mozambico.
Molte delle regioni toccate da Emnati erano state colpite solo 18 giorni prima dal passaggio di un altro ciclone, Batsirai, i cui strascichi erano stati invece molto più drammatici con più di 120 vittime registrate, 29.000 persone sfollate e quasi 20.000 case danneggiate. Ma il riflesso non si limita alle conseguenze dirette della furia delle piogge, perché spesso le tempeste causano anche inondazioni, aumentando significativamente il rischio di focolai di malattie trasmissibili e mortali come la malaria o malattie diarroiche. E in un’area in cui, come riferisce l’ong svizzera Medair che vi opera, il 95% delle infrastrutture idriche è stato gravemente danneggiato questa minaccia è sicuramente alta. Ma sono in gran parte anche le stesse regioni che hanno vissuto negli ultimi quattro anni una riduzione delle precipitazioni così pronunciata da provocare quella che le Nazioni Unite hanno definito la peggiore siccità in Madagascar in quarant’anni e la prima a essere stata causata dai cambiamenti climatici. Paradossalmente, gli ultimi cicloni possono contribuire a garantire un certo sollievo agli agricoltori locali, ma solo in modo apparente perché in realtà va sottolineato come il susseguirsi di episodi di grave degrado dei suoli provocato dalla siccità e l’improvviso stress idrico causato dalle forti piogge impoveriscono ancora di più i terreni coltivabili, accelerando i processi di desertificazione e peggiorando ulteriormente le condizioni di insicurezza alimentare.
Emnati è il quarto sistema tropicale ad aver toccato terra nel corso della stagione dei cicloni attualmente in corso, la più tardiva da quando nel 1967 si è cominciato a registrare l’intensità di questi eventi climatici estremi che si sviluppano nell’area dell’oceano Indiano sud-occidentale. Basti pensare che nel 2018-19, quando le cronache registrano il passaggio tra marzo e aprile 2019 dei cicloni Idai e Kenneth – rispettivamente il più letale con oltre 1300 vittime e il più violento ad aver mai toccato terra in Africa australe – la stagione fu fatta cominciare ufficialmente il 6 novembre con la designazione della tempesta Alcide per terminare a maggio dopo la dissipazione del ciclone Lorna. Quest’anno, invece, solo il 20 gennaio il Centro meteorologico di La Réunion ha individuato nella tempesta tropicale Ana un sistema sufficientemente forte da vedersi assegnare un nome proprio e segnare in questo modo l’inizio ufficiale della stagione dei cicloni 2021-22.
La tempesta Ana ha raggiunto il Madagascar transitando sull’isola lungo le sue regioni settentrionali tra Toamasina e Maintirano, arrivando poi in Mozambico nelle province di Nampula, Tete e Zambezia riuscendo a provocare ingenti danni anche in Zambia e Zimbabwe e decessi fino in Malawi. Complessivamente le vittime causate dal suo passaggio sono state almeno 115, delle quali 58 sono state registrate in Madagascar, 37 in Malawi e 20 in Mozambico.
In cinque settimane dalla formazione di Ana, i Paesi affacciati sulle coste dell’oceano Indiano meridionale hanno visto quindi gli effetti degli impatti sulla terraferma di Batsirai, che oltre al Madagascar ha colpito anche le isole di Mauritius e La Réunion, della più moderata tempesta Dumako che ha seguito una traiettoria simile a quella percorsa da Ana ma con un’intensità nettamente inferiore e senza riuscire a causare quindi tutti i danni e, infine, del già citato Emnati. Colpendo comunità già vulnerabili, il passaggio di queste tempeste e cicloni rappresenta l’esempio perfetto di come i fenomeni climatici estremi contribuiscano a innescare crisi umanitarie la cui soluzione richiede strategie di adattamento e transizione a breve, medio e lungo termine per rispondere alle esigenze immediate degli abitanti e rispondere alle richieste di sviluppo inclusivo e sostenibile. In Madagascar, dove la maggior parte della popolazione vive di agricoltura, il Programma alimentare mondiale (Wfp/Pam) ha stimato che il 90% dei raccolti potrebbero essere stati distrutti nelle ultime settimane con un impatto ancora imprevedibile sull’offerta disponibile sui mercati locali e il potenziale di aumentare i prezzi dei generi alimentari di base e, conseguentemente, sulla sicurezza alimentare nei prossimi mesi.