di Annamaria Gallone
È uscito il 20 settembre nelle sale francesi, DÉSERTS, l’ultimo film del regista marocchino FAOUZI BENSAID, selezionato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 76, e spero esca anche in Italia, perché è un nuovo capolavoro del regista più dissacrante, ironico e geniale dell’attuale cinematografia del Maghreb.
Una tragica coincidenza. Il sesto film del regista esce in un momento in cui il Marocco sta ancora contando i suoi morti dopo il terremoto che ha colpito la provincia di al-Haouz nella notte tra l’8 e il 9 settembre, causando ingenti danni nel sud-ovest del Paese. Déserts è stato girato in queste stesse zone rurali e aride del profondo Sud, dove le povere popolazioni sono state abbandonate dallo Stato centrale.
Ma Faouzi non sceglie un tono tragico per descrivere la dura realtà. Come suggerisce il titolo, la storia, anzi le storie, sono ambientate nell’impervio deserto roccioso del Marocco, la cui bellezza estrema è resa splendidamente dal direttore della fotografia Florian Berutti. Queste lande sperdute sono percorse con scarso senso d’orientamento da due uomini che si spostano su di un’auto scassata e spesso a piedi: sono colleghi esattori di una finanziaria senza scrupoli, che, visto il loro scarso rendimento, per punizione li ha inviati in questi luoghi malagevoli, dal caldo insopportabile. Mehdi e Hamid, (interpretati rispettivamente da Fehd Benchemsi e Abdelhadi Talbi) sono amici di vecchia data, buffi personaggi maldestri, vestiti impeccabilmente con abiti interscambiabili e assurdi che inventano fantasiose o grottesche soluzioni alternative per consentire loro di incassare qualcosa da debitori per lo più nullatenenti. Da questi poverissimi contadini e pastori risulta davvero difficile poter recuperare denaro e quindi con arroganza i due pignorano qualche avere: dalla capra, al tappeto su cui dormono i bambini, al furgone sottratto con l’astuzia. Tutto quanto rivenduto per ricavare un po’ di denaro. L’uno dei due è un po’ meno impacciato e finge di risolvere anche problemi di coppia per trarne dei vantaggi con l’inganno.
Il viaggio picaresco continua per tutta la prima parte del film con aneddoti molto divertenti enfatizzati dalla gestualità dei personaggi. La commedia dark della prima parte cambia registro nella seconda, più intima e onirica, una parabola moderna sui più comuni difetti umani. Il passaggio avviene con l’introduzione di un terzo personaggio centrale, senza nome , “l’evaso”(Rabii Benjhaile), un misterioso straniero ammanettato a una moto che il duo accetta di portare alle autorità per aiutare l’uomo in lutto che lo trattiene (e per assicurarsi la ricompensa in denaro). Attraverso scene silenziose capiamo che l’uomo in manette è stato separato con la forza dalla moglie da uno dei suoi spasimanti. Quando l’enigmatico straniero fugge dai suoi due guardiani, il film li abbandona quasi completamente per seguire la sua ricerca, addentrandosi in un ambito molto più poetico e ci parla d’amore.
Il FESCAAAL ha programmato tutti i film di Faouzi che ammiro molto, dai cortometraggi: La falaise (1997), Le mur (2000), Trajets (2001), WWW: What a Wonderful World (2006); ai lungometraggi pluripremiati: Mille mois (2003), Mort à vendre(2011), Volubilis(2017)
Non solo regista, ma anche attore di talento prima di teatro e poi di cinema, recita spesso nei suoi film inserendo un cammeo o come protagonista incisivo con il suo volto spigoloso, a volte drammatico, a volte irresistibile con una comicità alla Buster Keaton.
Le scelte del regista
Nel caso del suo ultimo film, ciò che mi affascina di Faouzi è la sua capacità di scegliere l’umorismo come strumento narrativo per commentare criticamente problemi molto importanti, storie tragiche che fanno emergere problemi reali, favole metafisiche dense di significato. Lui stesso, in un’intervista rilasciata lo scorso 21 settembre a Eva Sauphie di Jeune Afrique, dice: Nella sua forma Déserts è anche plurale. È un film burlesco, un western quasi mitologico, un racconto e una satira. Risponde non a una ma a diverse storie, offre due centri, diversi personaggi e diverse realtà. Il film racconta i deserti degli esseri, la loro vita spirituale e interiore, ma anche la loro esistenza quotidiana… Sono sempre stato affascinato dal suo lato minimalista. È uno spazio vuoto, privo di qualsiasi cosa di eccentrico: farvi camminare un uomo rappresenta già un gesto forte.
Al di là della sceneggiatura, alcune scelte registiche sono molto interessanti: spesso la macchina da presa filma a distanza i personaggi, a sottolineare l’inutilità dei loro sforzi, per tornare invece ai primi piani a sottolineare che non sono più solo caricature, ma hanno un’anima e pesanti storie personali alle spalle.
Dice ancora il regista: Il film racconta una storia che è allo stesso tempo marocchina e globale. L’abbandono delle popolazioni povere da parte del potere, la precarietà del sottoproletariato sono il male del mondo. Un’intera fascia della popolazione è in modalità sopravvivenza. I miei film sono popolati di piccole persone e provo molta tenerezza per loro. I due protagonisti fanno il lavoro sporco, ma scopriamo che anche loro hanno vite danneggiate e che servono qualcosa di cui non traggono nemmeno beneficio.
Infatti, scopriamo che la moglie di Hamid lo ha abbandonato, lasciandolo a prendersi cura della figlia. La madre suggerisce di vendere la bambina tramite un intermediario di adozioni incontrato al mercato. Mehdi ha una fidanzata, ma ha scoperto che ha un incorreggibile padre ubriacone e un’insopportabile madre.
Continua Faouzi: Ho…questa consapevolezza di voler dire al mondo che noi marocchini non siamo condannati al folklore e che anche noi abbiamo delle storie da raccontare. Mi interessa anche la dimensione cosmica della natura purché sia al servizio della storia. Provo un grande piacere nel collegare i miei personaggi a questa dimensione.
Piacere che si evince perfettamente in Déserts.