In molti avrete in mente le fotografie di platee – bambini fino gli anziani – di spettatori seduti a terra, en plein air, gli occhi sedotti da uno schermo che noi non vediamo ma che loro fissano con attenzione, divertimento, emozione. Le iniziative per portare il cinema al villaggio sono un po’ sempre esistite, dal Mozambico del dopo-indipendenza dove le proiezioni avevano soprattutto un intento politico, al Cinemóvel, nello stesso Paese ma per iniziativa italiana a partire dagli anni Novanta, al Cinéma Numérique Ambulant nell’Africa occidentale francofona; ovviamente non potevano mancare, negli ultimi tempi, le tournée cinematografiche cinesi: se ne ha notizia certa almeno per Zambia, Nigeria, Repubblica del Congo e Senegal. Quest’ultimo Paese ha anche visto sbarcare il Cinécyclo, dove si pedala per ottenere l’energia elettrica necessaria, e nel quale è sorto anche un locale, autonomo Cinécyclo Senegal permanente.
Di CinemArena abbiamo fatto cenno alla vigilia della stagione 2018-19, quando il tema proposto era quello delle migrazioni. CinemArena è un’iniziativa dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) avviata nel 2001 nell’ambito del programma “Emergenza Colera” in Mozambico, ed è restata un progetto di sensibilizzazione principalmente socio-sanitaria. Nell’ultima esperienza sono stati raggiunti 75.000 spettatori/partecipanti di località remote di Senegal, Costa d’Avorio, Guinea, Gambia, Nigeria, Sudan. Non semplici proiezioni, ma veri e propri eventi, anche per mettere in guardia dai rischi delle migrazioni transahariane, che comprendevano workshop, spettacoli teatrali, danze e musica.
È stata un’occasione ghiotta per gli organizzatori (l’Aics si è avvalsa della collaborazione sul terreno di “Overland” e di “Bambini nel Deserto”) per fare un’indagine sistematica sulle motivazioni dell’emigrazione verso l’Europa e sull’immagine che in questi Paesi africani circola riguardo alle chance e ai rischi del grande viaggio verso nord.
Indagine statistica
Abbiamo finora visto solo Avvenire riportare, in maniera sintetica ma con rilievo – per penna della vicedirettrice del Censis (1993-2015), Carla Collicelli –, i risultati di questa ricerca che ha coinvolto quasi 2000 persone. Si tratta della prima rilevazione nel suo genere, per lo meno di questa ampiezza e per iniziativa italiana.
La domanda che in tanti – in Italia – ci facciamo è se chi parte è consapevole dei rischi cui va incontro. Ebbene, circa i tre quarti degli intervistati mostrano di avere «piena coscienza della necessità di dover pagare, in forme e modalità varie, soggetti che fungono da facilitatori, in grado di agevolare la partenza e lo svolgimento del viaggio». Quanto ai pericoli specifici, un numero rilevante, oltre il 40%, afferma di ignorarli; molti altri (55,4%) temono le malattie e anche il rischio di morte, quasi il 59% la reclusione e i maltrattamenti, oltre il 39% il naufragio (il totale è maggiore di 100% perché ogni intervistato poteva indicare più rischi).
Quanto alle fasce di età e ai sessi, i 26-40enni si mostrano i più informati, anche sulle possibili violenze e detenzioni cui si va incontro, rispetto ai più anziani e ancor di più rispetto ai più giovani; appare anche, età a parte, una maggiore conoscenza da parte degli uomini (55,2%) che delle donne (46,5% del campione).
Ma sarebbero disposte, le persone direttamente interrogate, a partire? «Quasi il 70% ha dichiarato di aver pensato di lasciare il proprio villaggio o la propria zona di residenza per emigrare – scrive Collicelli –, o di avere famigliari che lo hanno fatto».
Moderna iniziazione
Interessanti sono anche i dati che potremmo definire più “qualitativi”. Si registra infatti uno «iato tra il valore positivo attribuito alla partenza e alla ricerca di una vita migliore, con percentuali tra il 70 e l’80% del campione, da un lato, e le conoscenze molto meno diffuse sulla durata e i pericoli del viaggio, con valori tra il 40 ed il 60% a seconda dei diversi rischi e delle diverse classi di età, dall’altro lato».
Sussiste insomma un “immaginario migratorio”, per fare eco al titolo di un libro che abbiamo presentato sulla nostra rivista, che è il vero pull, anzi push, factor. Esso è confermato anche dai 67 osservatori qualificati presenti sul posto (universitari, esponenti di organizzazioni internazionali, ecc.), anch’essi intervistati nell’ambito della stessa indagine, che constatano «la presenza di una cultura diffusa della migrazione e del viaggio come tappa della crescita e della transizione verso l’età adulta». Insomma una moderna iniziazione, come scrive Mario Giro nel suo ultimo libro Global Africa, ma più incentrata sull’individuo che sulla comunità. E che, soprattutto nasce dalla disillusione e delusione ingenerate dalle pur diverse fasi politico-culturali del dopo-indipendenza. I giovani africani d’oggi, scrive l’autore, «non sono interessati all’identità africana, al meticciato culturale e filosofico e al recupero di una storia mitizzata. Si confrontano con gli altri giovani del mondo globalizzato e scoprono di avere gli stessi gusti. Per loro i mondi non sono due ma uno o molteplici allo stesso tempo. Sono spaesati nel grande flusso della globalizzazione che li ha resi diversi: hanno una mentalità individualista e più globalizzata al contempo. Abbandonati i miti fallimentari dei padri, si mettono a cercare modelli fuori dal continente».
Lo studio nato intorno a CinemArena indica anche delle macrosoluzioni: un “piano Marshall” per l’Africa e il rafforzamento degli Stati e delle istituzioni locali. Ma la preoccupazione di questi ultimi non dovrebbe essere solamente il Pil, quanto creare un’attrattività verso i rispettivi Paesi per i propri figli, «rendendo l’emigrazione – conclude l’articolo – una scelta e non un obbligo o una necessità cui non ci si può sottrarre».
(Pier Maria Mazzola)
Foto: EU Civil Protection and Humanitarian Aid