di Valentina Geraci – Centro studi AMIStaDeS APS
Nel cuore del dibattito attuale sulla cittadinanza italiana con il nuovo referendum, le parole di Italiani che vivono senza questo diritto risuonano come un appello urgente e necessario. Ce ne parla Benedicta Djumpah (nella foto) figura centrale nel movimento “Italiani senza cittadinanza”.
Benedicta Djumpah, protagonista del cortometraggio “Io sono Rosa Parks”, premiato nel 2018 dal bando Migrarti e in altri festival, è la figura centrale nel movimento “Italiani senza cittadinanza”. Benedicta non è solo attivista, ma anche conduttrice e creatrice del podcast “The Chronicles of a Black Italian Woman”.
Durante la nostra conversazione, parliamo del referendum sulla cittadinanza e di alcune tra le sfide quotidiane affrontate da numerosi giovani nel nostro Paese. Benedicta, il movimento “Italiani senza cittadinanza” e varie organizzazioni e associazioni locali stanno lottando instancabilmente per migliorare le condizioni di tante persone attraverso una riforma significativa.
Per firmare: www.referendumcittadinanza.it
Benedicta, nel tuo ruolo di attivista, come hai visto cambiare la percezione della cittadinanza negli ultimi anni?
Nel mio ruolo di attivista, ho osservato un cambiamento significativo nella percezione della cittadinanza e dell’inclusione sociale negli ultimi anni. Purtroppo, ho notato un crescente atteggiamento di durezza da parte della società. Ricordo il 2011, quando ero al liceo e la maggior parte delle persone aveva una comprensione limitata delle norme sulla cittadinanza italiana. Crescendo in provincia, ho vissuto in un contesto dove prevaleva l’idea che chi nasce o cresce in Italia fosse automaticamente considerato italiano. All’epoca, il concetto di cittadinanza era spesso associato unicamente allo “ius soli” con molte persone prive di una conoscenza delle reali disposizioni legislative.
Con il tempo, però, la consapevolezza è aumentata, ma purtroppo non sempre in senso positivo, generando una reazione di chiusura in alcune fasce della popolazione. Mentre alcuni hanno acquisito una maggiore consapevolezza, altri si sono inaspriti, aggrappandosi a un concetto più restrittivo di cittadinanza basato sulla discendenza.
Ritengo che questi cambiamenti di atteggiamento riflettano una crescente polarizzazione e una crescente complessità nel dibattito sull’inclusione sociale.
Puoi raccontarci le origini del referendum sulla cittadinanza? Quali sono stati i principali motivi che hanno spinto alla sua convocazione e quali sono le parti coinvolte in questa iniziativa?
Il referendum sulla cittadinanza nasce dall’impegno congiunto di diverse associazioni, movimenti e realtà politiche. Numerose organizzazioni fanno capo anche a nuove generazioni e associazioni di italiani di prima generazione. Questo sforzo collettivo è il risultato della determinazione di tante singole persone che hanno unito le loro voci per sollevare una questione cruciale.
La spinta verso questo referendum è stata alimentata da una serie di motivazioni e necessità urgenti. Molti giovani, nati e cresciuti in Italia da famiglie migranti, si trovano ad affrontare difficoltà significative, come l’impossibilità di partecipare a concorsi pubblici o viaggiare liberamente. Queste limitazioni si riflettono anche nel loro diritto di cittadinanza attiva, poiché non possono votare nel Paese in cui sono cresciuti e considerano casa. Queste restrizioni privano migliaia di giovani di opportunità fondamentali e creano un senso di esclusione in una società di cui sono pienamente parte, ma legalmente non riconosciuti come dovrebbero.
La mancanza di riforme legislative in tal senso ha portato a una crescente preoccupazione e frustrazione. In risposta a questa situazione, il referendum è stato promosso come una via per ottenere il cambiamento necessario.
Quali cambiamenti fondamentali si spera di ottenere con l’approvazione di questo referendum e come pensate che possa trasformare il panorama della cittadinanza in Italia?
Uno degli obiettivi principali è facilitare l’accesso alla cittadinanza per un numero maggiore di minori nati e cresciuti nel Paese da famiglie migranti, oltre che per i nostri coetanei che, pur vivendo in Italia da anni, incontrano ancora ostacoli burocratici insormontabili, come il requisito della residenza continuativa per ben dieci anni ininterrotti.
Con il referendum, puntiamo a eliminare queste barriere, rendendo il processo più inclusivo e riconoscendo finalmente il contributo e l’appartenenza di chi è parte integrante della nostra società. Un cambiamento di questo tipo non solo garantirebbe una maggiore giustizia sociale, ma rafforzerebbe anche il senso di appartenenza e di coesione all’interno del Paese.
Quali sono le principali difficoltà che state affrontando nella promozione e diffusione del referendum, e come le state superando?
Una delle principali difficoltà iniziali è stata la scarsa percentuale di consapevolezza e partecipazione tra il pubblico, che ha destato non poche preoccupazioni.
Per superare questa sfida, attivisti e volontari si sono mobilitati con grande impegno, dedicando tempo ed energie alla diffusione del messaggio. Abbiamo intensificato la rete di contatti, coinvolgendo persone e associazioni sensibili a queste tematiche. Le campagne informative sono state ampliate, con l’obiettivo di raggiungere un pubblico più vasto, anche attraverso eventi, social media e incontri sul territorio.
Il nostro approccio si basa sull’informazione diretta, creando uno spazio di dialogo dove le persone possano comprendere meglio l’importanza del referendum e sentirsi coinvolte in prima persona.
Cosa possono fare i cittadini per sostenere concretamente la campagna e assicurarsi che il referendum ottenga il supporto necessario? Qual è il ruolo di ognuno di noi in questo processo di cambiamento?
C’è tempo fino al 30 settembre. Per sostenere concretamente la campagna del referendum si può iniziare con un gesto semplice ma fondamentale: firmare e condividere il link della petizione. Ogni firma conta e ogni condivisione contribuisce a diffondere la consapevolezza sul tema.
Il vero cambiamento avviene quando si comprende che questa battaglia non riguarda solo una minoranza, ma l’intera società italiana. Non si tratta di “altri”, ma di persone che fanno parte della comunità in cui viviamo.
Il ruolo di ciascuno di noi è quello di riconoscere che l’Italia di oggi è una realtà interculturale, e il referendum rappresenta un passo verso una società più equa e inclusiva. Condividere queste informazioni, parlarne con amici e conoscenti, e prendere due o tre minuti per sostenere la campagna non è solo un atto di “vicinanza”, ma una responsabilità verso un’Italia che rifletta davvero ciò che è diventata.