di John Mpaliza
Ieri, 30 giugno, la Repubblica Democratica del Congo ha celebrato i 64 di indipendenza, raggiunta dopo anni di lotta. Ma la società congolese oggi ha davvero da festeggiare? La riflessione critica dell’attivista congolese per i diritti umani, John Mpaliza.
“Premessa – Lungi da me l’idea di criticare chi oggi si trova a festeggiare i 64 anni di “indipendenza” della Repubblica Democratica del Congo, a casa oppure nella diaspora. La mia vuole solo essere una riflessione ed un invito a non cadere nella semplificazione, nel vittimismo e nel fatalismo rispetto alla difficile situazione che sta attraversando il Congo.
Sono passati 64 anni da quel 30 giugno 1960 quando, dopo anni di lotta, il Congo Belga ottenne la sua “indipendenza” dal Regno del Belgio. Smise così di chiamarsi Congo Belga e divenne Repubblica del Congo (notare che era spesso chiamata Congo-Léopoldville per non confonderla con Congo-Brazzaville, ex Congo Francese) ma, a distanza di sei decenni e mezzo, sembra che l’unica indipendenza concessaci stia nella possibilità di poter cambiare nome del Paese a piacere. Repubblica del Congo dal 1960 al 1966, divenne Repubblica Democratica del Congo dal 1966 al 1971. Il nome viene poi cambiato in Zaire dal 1971 al 1997 per poi tornare, di nuovo, a chiamarsi Repubblica Democratica del Congo dal 1997 ad oggi. In realtà, di democratico ha solo il nome, una illusione di cambiamento, quel cambiamento che Patrice Lumumba (foto di apertura), Primo Ministro eletto, auspicò nel suo improvvisato e non previsto discorso il 30 giugno, davanti ad un Baldovino I furioso, e che inseguì nei mesi successivi fino al suo assassinio il 17 gennaio 1961.
La Repubblica del Congo nacque, “indipendente”, il 30 giugno 1960 ma il giorno dopo era già un caos ingovernabile perché il Belgio, che non voleva lasciare a nessuno, tanto meno ai “incivili” congolesi, la propria gallina dalle uova d’oro, con i suoi alleati aveva messo in atto il suo piano di riserva, fomentando e spingendo per la secessione del Katanga, regione mineraria grande circa 20 volte la Sicilia e fino allora considerata come la più ricca di tutto il Congo e di tutta l’Africa. Da questa regione arrivò l’uranio per la prima bomba atomica, con cui si mise fine alla Seconda Guerra Mondiale, ma produceva e produce ancora minerali strategici come il cobalto (70% della produzione mondiale) oppure il rame (allora primo produttore mondiale e oggi terzo produttore mondiale).
Sappiamo come andarono poi le cose. Quel cambiamento non è mai arrivato! Infatti, dopo l’uccisione di Patrice Lumumba seguirono 4 anni di guerre di secessione, un brutto periodo interrotto solo con il colpo di stato del 25 novembre 1965 con cui Joseph-Désiré Mobutu (diventato poi Mobutu Sese Seko Kuku Ngbendu Wa Zabanga), sostenuto dagli Stati Uniti -con partecipazione attiva della CIA- ed ovviamente dall’ex potenza coloniale, il Belgio, prese il potere, mettendo agli arresti domiciliari il Presidente Joseph Kasa-Vubu (che morirà nella propria casa il 24 aprile 1969).
Purtroppo, con Patrice Lumumba e Joseph Kasa-Vubu svanì anche quella speranza di una vera indipendenza. Mobutu Sese Seko (1965-1997), Laurent-Désiré Kabila (1997-2001), Joseph Kabila (2001-2019) e Felix Tshisekedi (2019 – oggi) hanno tutti la responsabilità di aver spinto il Congo nell’inferno in cui si trova oggi. Ognuno di loro ha tradito il sogno di giustizia e riscatto di Patrice Lumumba e del popolo congolese. Il Congo, in passato considerato il motore dell’Africa, oggi è un gigante in ginocchio, preda delle multinazionali che lo saccheggiano tramite le innumerevoli milizie e gruppi ribelli che seminano terrore e morte nell’est del Pese, spesso con il silenzio e la complicità dei governanti locali.
Dal 1996, il Congo è vittima di una guerra economica, di sfruttamento da parte delle multinazionali della tecnologia e di espansione di e di saccheggio da parte del Ruanda (paese grande quanto la Sicilia) ed i suoi suppletivi (movimento M23). I minerali strategici usati nella nostra tecnologia vengono saccheggiati ed esportati illegalmente tramite i paesi vicini, il Ruanda in primis. Il conflitto che da quasi 3 decenni insanguina il Paese ha già fatto più di 10 milioni di vittime, e oggi, 30 giugno 2024, una bella parte del grande Kivu è controllata dal movimento M23 e dal Ruanda. Secondo un rapporto dell’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, ente delle Nazioni Unite) di dicembre 2023, ci sono circa 7 milioni di profughi interni in Congo. E, a causa dell’intensificazione della guerra espansionistica del Ruanda all’est del Paese, intorno alla città di Goma, quasi asfissiata, ci sono circa 2 milioni di sfollati, senza aiuto e sostegno dalla Comunità internazionale e tanto meno dal governo congolese.
In conclusione, tornando alla preoccupazione iniziale, mi chiedo come si faccia a festeggiare oggi e, soprattutto, cosa festeggiare?
Vorrei invitare invece i congolesi e tutti gli amici ed amiche del Congo a commemorare tutte le vittime di questo nuovo genicidio silenzioso che è in corso nella Repubblica Democratica del Congo e lavorare insieme nella denuncia di questa guerra di occupazione e sfruttamento. Potremmo, noi in Italia ed in Europa, iniziare col denunciare l’accordo firmato il 19 febbraio dall’#UE con il Ruanda per l’approvvigionamento in minerali strategici e critici (coltan, oro, tungsteno, cobalto, etc) che sappiamo invece provenire dal Congo. Per farlo potete firmare la petizione qui sotto. Vorrei, in seguito, invitare la gioventù congolese ad impegnarsi sempre di più ed a seguire l’esempio dato dai loro coetanei di tanti paesi africani che stanno lottando per una vera e reale liberazione ed indipendenza”. John Mpaliza, attivista per i diritti umani.
Petizione: https://www.change.org/p/no-allo-scandaloso-accordo-tra-ue-e-rwanda-sui-minerali-del-congo