di Enrico Casale
Sono lontani i tempi di quando il Mozambico era considerato uno dei Paesi più stabili dell’Africa australe. Stretto nella morsa di una crisi politica e una militare, il Mozambico ora si dibatte in una situazione sempre più complessa.
Un Paese immerso in una crisi politica, seguita alle elezioni presidenziali dello scorso autunno, e una militare, a causa dell’insurrezione nel Nord. Il Mozambico, Paese un tempo considerato tra i più stabili dell’Africa australe, ora si dibatte in una situazione complessa, difficile da districare. Ma riavvolgiamo la pellicola per comprendere meglio la dinamica dei fatti. Le elezioni politiche in Mozambico si sono tenute il 9 ottobre 2024. In queste elezioni, il candidato del partito al governo Frelimo, Daniel Chapo, è stato dichiarato vincitore con il 70,67% dei voti. Tuttavia, l’opposizione ha contestato i risultati, denunciando irregolarità e brogli elettorali. Le proteste seguite all’annuncio dei risultati hanno portato a scontri violenti, con almeno 250 morti, principalmente tra i manifestanti uccisi dalle forze di polizia e dell’esercito.
“Dire quale sia, oggi, il seguito del Frelimo è difficile – spiega Luca Bussotti, docente all’Università Tecnica del Mozambico -. Al di là del risultato delle ultime elezioni, evidentemente fraudolento, come la stessa Unione Europea e il Consiglio costituzionale mozambicano hanno scritto nei rispettivi report. Quel che vediamo quotidianamente sono manifestazioni organizzate da Venancio Mondlane, che riscuotono sempre un enorme seguito, come non se ne vedeva dai tempi di Samora Machel, o di Dhlakama, tanto per fare un paragone”. Il governo, secondo il professore è «completamente delegittimato”. Ciò che, per il momento (a partire dallo scrutinio dei voti) ha salvato il Frelimo, secondo Bussotti, è stato, da un lato, il controllo totale delle istituzioni di giustizia, a cominciare da quelle elettorali, e la fedeltà in primo luogo della polizia, e in parte dell’esercito. Se uno di questi due elementi fosse venuto meno nel momento del conteggio dei voti, adesso racconteremo una storia diversa». Il Paese è quindi immerso in una sorta di limbo con un presidente formalmente eletto, ma in realtà senza il consenso elettorale, e uno, appunto Venancio Mondlane, senza poteri, ma con dalla sua parte la maggioranza della popolazione mozambicana.
Anche parlare dell’opposizione non è semplice. originariamente, Mondlane si era candidato con Cad, una coalizione di piccoli partiti, dopo che era uscito dalla Renamo. Quando essa è stata esclusa, per cavilli formali, dalle elezioni legislative, Mondlane, ritrovatosi senza partito, si è associato a Podemos, ma senza mai farne parte. “Oggi, le due strade, quella di Mondlane e quella di Podemos, si sono divise – spiega il docente -. Podemos, per esempio, è stato il primo partito a riconoscere la vittoria del Frelimo e di Chapo, prima e più della Renamo e dell’Mdm (Movimento Democratico del Mozambico), mentre Mondlane ha continuato per la sua strada di opposizione a un esecutivo che ritiene illegittimo”.

Le manifestazioni di oggi inoltre non sono iniziate con la crisi post-elettorale. “Il movimento che si è formato, e che ha poi dato origine all’onda lunga capeggiata da Venancio Mondlane, Povo no Poder, ha avuto inizio dopo la morte del rapper Azagaia, a marzo del 2023 – spiega il professore -. Lì era evidente che lo scenario socio-politico mozambicano era cambiato. Con la morte di Azagaia, i suoi seguaci hanno perso quel timore che aveva caratterizzato da sempre il rapporto fra cittadini e autorità in Mozambico, e sono usciti allo scoperto. Le elezioni comunali dell’ottobre del 2023 sono state una prova generale di quelle politiche di un anno dopo: anche in quel caso, i partiti di opposizione, soprattutto Renamo, avevano conquistato molte amministrazioni, fra cui Maputo con Venancio Mondlane. Tuttavia, i consueti brogli elettorali hanno consegnato quasi tutti i Comuni al Frelimo e ai suoi candidati, ignorando la volontà popolare”.
Le tensioni politiche si aggiungono a quelle etniche. Nei suoi dieci anni, il governo-Nyusi, avrebbe accentuato l’esclusione sistematica di fasce maggioritarie della popolazione, anche etnicizzando (a favore della minoranza Makonde) i privilegi economici e le opportunità di formazione e lavoro, restringendo sempre di più la sfera pubblica, con uno stato al culmine della sua inefficienza. “I brogli elettorali del 2023 e 2024 si sono, quindi, sommati a tutte queste circostanze – sottolinea il professore -, e hanno fatto implodere il Paese, che adesso è in una fase di sostanziale stallo, nonostante il recente accordo firmato fra il presidente della Repubblica e i partiti di opposizione, per portare avanti riforme istituzionali ed economiche. Da questo accordo è stato per il momento escluso il principale attore politico del momento, Venâncio Mondlane, per cui sarà difficile che la situazione torni a una sorta di normalità pre-elettorale”.
A questa crisi politica si aggiunge quella militare. L’insurrezione a Cabo Delgado non è stata risolta e non sarebbe legata solo al radicalismo islamico, ma anche ai conflitti etnici mai risolti fra i Makonde (minoritari ma governativi), gli Amakhuwa (l’etnia più numerosa in Mozambico, ma emarginata) e i Kimwani, questi ultimi tutti musulmani. “Le truppe ruandesi sono sempre più numerose e la tendenza è che Paul Kagame mandi sempre più effettivi di agenzie private di sicurezza appartenenti a società controllate dal suo partito, piuttosto che militari dell’esercito ruandese, come è stato il caso dell’Isco Security (controllata della Crystal Venture), che ha firmato un contratto di esclusività con la Total per proteggere l’investimento sul gas ad Afungi da circa 20 miliardi di dollari – osserva il professore -. Senza parlare dell’impatto che sul Ruanda di Kagame sta avendo la crisi nell’Est del Congo, che sta portando i partner della Sadc, a chiedere di interrompere l’asse privilegiato Maputo-Kigali, visto che Kagame sta finanziando un gruppo terrorista come quello dell’M23.

Oggi, a Cabo Delgado lo scenario che si sta delineando è quello di oasi sicure (dove ci sono i grandi investimenti, come quello della Total ad Afungi, o della Montepuez Ruby Mining a Montepuez), lasciando il resto del territorio alle scorribande degli attacchi cosiddetti jihadisti, i cui protagonisti principali sono i giovani Amakhuwa e Kimwani, in rotta con uno stato che li ha esclusi sistematicamente da qualsiasi percorso inclusivo, da un po’ di tempo spalleggiati da Isis, che ha rivendicato diversi degli ultimi attacchi”.