di Stefano Pancera
All’indomani dall’inizio del secondo mandato per Donald Trump come presidente degli Stati Uniti, le prospettive per l’Africa sono contrastanti e suscitano preoccupazioni, come l’annullamento di iniziative sulla diaspora e il ritiro dall’OMS. Alcuni leader africani, però, sperano in una collaborazione futura.
“Trump non può ignorare l’Africa in quest’epoca,” ha detto Suka-Mafudze ambasciatrice dell’Unione Africana negli Stati Uniti che non è stata invitata lunedì scorso all’insediamento di Trump.
“Essere membro del G20 significa che l’Africa si trova oggi a un livello in cui contribuisce e prende decisioni sulla scena mondiale. L’approccio è importante per mettere l’Africa sulla mappa e dobbiamo inserirci in questa nuova amministrazione il prima possibile” ha dichiarato.
L’imprenditrice congolese Elphine Kakudji, Ceo dell’azienda di importazione e distribuzione di petrolio e gas Sokam Holdings, anche lei presente all’investitura ufficiale di Trump, ha dichiarato a The Africa Report
“Ho percepito uno spirito pragmatico, che ho trovato molto rassicurante. Sono convinta che, con la politica di Trump a favore dell’indipendenza energetica e del sostegno ai settori del petrolio e del gas, anche noi in Africa potremo trarne beneficio”
Il capo di Stato sudafricano Cyril Ramaphosa da Davos ha colto l’occasione per ricordare che il suo paese terrà la presidenza del G20 a Johannesburg il 23 novembre del 2025 e che aspetta Trump a braccia aperte. “Lavoreremo a stretto contatto con gli Stati Uniti e il presidente Donald Trump”, ha promesso.
Somaliland
I funzionari che in precedenza hanno prestato servizio con Trump in Africa dicono che potrebbe riconoscere Somaliland (regione autoproclamata indipendente dalla Somalia dal 1991).
Radio France Internationale ha parlato di una recente lettera inviata da un comitato della camera dei rappresentanti statunitense al dipartimento di stato, in cui si chiede l’apertura di un ufficio di rappresentanza nella capitale Hargeisa.
A smorzare gli entusiasmi africani ci pensa – ad esempio – il quotidiano francese Le Monde. Anche se l’obiettivo per l’amministrazione americana – scrive – è quello di trarre il massimo profitto possibile dalla produzione di idrocarburi prima che le energie rinnovabili prendano il sopravvento, “è improbabile che il continente benefici di un rinnovato interesse da parte dei gruppi petroliferi texani, che, giudicando le sue potenzialità troppo modeste e il suo ambiente di sicurezza troppo complicato vi investono sempre meno”.
Con 19,3 milioni di barili al giorno nel 2023 gli Stati Uniti producono da soli quasi tre volte di più del continente africano nel suo complesso.
Se prima del suo insediamento alcuni leader africani – alla luce della realpolitik e pur non facendosi illusioni sul personaggio – vedevano di buon occhio questo “come-back” ora in seguito ai recenti ordini esecutivi sono più preoccupati. Certo, si tratta di “ordini esecutivi” di 90 giorni e sono dunque soggetti a ricorsi legali e parlamentari.
Trump ferma l’impegno della diaspora in Africa
Uno dei primi atti di Trump al suo ritorno alla Casa Bianca è stato l’annullamento del Consiglio consultivo del presidente sull’impegno della diaspora africana negli Stati Uniti (PAC-ADE) istituito da Biden con un consiglio di 12 esperti afroamericani per rafforzare i legami tra gli Stati Uniti e le comunità africane. Gli americani neri costituiscono circa il 13% della popolazione americana (circa 44 milioni di persone) la più grande percentuale di persone di origine africana in qualsiasi altro grande paese del mondo. Ovvio che “chiudere il consiglio rappresenta una notevole battuta d’arresto per l’agenda USA-Africa” come dice il fondatore della Diaspora Academy di Washington.
Gli aiuti sospesi
Nel suo primo mandato, Donald Trump aveva promesso di ridurre di almeno il 30% i miliardi di dollari inviati in Africa ogni anno dall’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale.
Lunedi scorso ha firmato “una pausa di 90 giorni durante l quale verrà valutata l’efficacia dei programmi e la loro coerenza con la politica estera degli Stati Uniti” le conseguenze per il continente potrebbero essere gravi. Infatti, nel 2023, un quarto della dotazione di aiuti degli Stati Uniti è andato ai paesi africani, per un importo totale di 17,4 miliardi di dollari – una media di 300 milioni di dollari per paese – per programmi umanitari o di sviluppo economico, ma anche militari. I cinque paesi che hanno concentrato la maggior parte degli aiuti statunitensi sono, nell’ ordine: Egitto, Etiopia, Somalia, Nigeria e Repubblica Democratica del Congo.
Uscita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
La decisione di Trump di ritirare alla fine del 2025 gli Stati Uniti dall’OMS ha profonde implicazioni per l’Africa. Dalla creazione dell’OMS, gli Stati Uniti sono stati il maggior donatore dell’OMS, contribuendo con 1,28 miliardi di dollari nel biennio 2022-2023. L’Africa continua a essere il principale destinatario dei finanziamenti dell’OMS, avendo ricevuto nel 2022-2023, il 26% dei fondi la porzione più alta. La presenza dell’OMS nel continente è fondamentale per affrontare malattie come la malaria, l’HIV/AIDS e la tubercolosi. Senza il supporto finanziario e tecnico degli Stati Uniti, la capacità dell’organizzazione di rispondere alle crisi sanitarie potrebbe essere messa in discussione.
African Growth and Opportunity Act
Con l’imminente scadenza di AGOA (African Growth and Opportunity Act) a ottobre 2025, Afreximbank ha appena lanciato una campagna di lobbying da 300.000 dollari per rinnovare la legge che offre vantaggi commerciali ai paesi africani. L’Unione africana vorrebbe fosse rinnovato per almeno 16 anni, ma Donald Trump – per ora – non ha detto praticamente nulla sui termini della prosecuzione o meno di questo accordo di libero scambio. L’industria automobilistica sudafricana e i produttori di abbigliamento del Kenya potrebbero essere alcuni dei “grandi perdenti” se l’atto non fosse rinnovato
Se il primo mandato di Trump e la sua conclusione erano stati quantomeno turbolenti, la seconda era Trump promette di essere ancora più radicale e dirompente della prima. Per l’Africa non c’è da stare allegri. Il governatore della banca centrale del Sudafrica, parlando a Davos, ha detto che la presidenza di Trump potrebbe minacciare la ripresa economica del suo Paese. Ma attenzione, raccomandano i suoi collaboratori, va preso sul serio ma non alla lettera. Siamo solo all’inizio.