di Carla Zurlo – Centro studi AMIStaDeS APS
È legittimo che un paese giustifichi la violazione dei diritti umani fondamentali come espressione della propria sovranità culturale e religiosa?
La risposta a questa domanda sembrerebbe positiva, almeno secondo quanto dichiarato dal neo primo ministro senegalese Ousmane Sonko, leader del partito Pastef – Patrioti Africani del Senegal per il Lavoro, l’Etica e la Fratellanza – durante l’incontro del 16 maggio scorso all’Università Cheikh Anta Diop di Dakar con Jean-Luc Mélenchon, politico francese rappresentante della sinistra radicale.
Invitato a parlare agli studenti, Mélenchon ha inaspettatamente rivendicato il suo essere stato “il primo legislatore francese a presentare una proposta di legge sul matrimonio omosessuale” augurandosi che prima o poi “questa libertà di amare possa appartenere a chiunque”. Le sue parole sono state immediatamente riprese dalla stampa senegalese che ha accusato il politico francese di fare lobbing pro omosessualità. La replica del leader di Pastef, che durante la campagna elettorale aveva promesso che una delle prima leggi che avrebbe fatto approvare sarebbe stata quella che inaspriva le pene contro l’omosessualità, non è tardata ad arrivare.
Nella sua replica, Ousmane Sonko ha infatti sottolineato che “in Senegal l’omosessualità non è accettata ma è tollerata”, esortando l’Occidente a “rispettare la cultura senegalese sulle questioni sociali, inclusi i diritti LGBTQIA+, e la parità di genere”. Sonko ha poi messo in guardia gli studenti contro il vero pericolo cioè i “tentativi esterni di imporre stili di vita e modi di pensare contrari ai valori senegalesi” che possono provocare “enormi tensioni”, alimentando “sentimenti anti-occidentali” e osservando infine come “la questione sia utilizzata quasi come arma di ricatto nei rapporti bilaterali e partenariati finanziari”.
Sonko ha poi messo in relazione l’omofobia, cioè la violazione sistematica dei diritti umani di una parte della popolazione, con la contrarietà dei governi occidentali alla poligamia. Il rispetto e la tutela dei diritti umani non dovrebbero essere un gioco di scambi, ma piuttosto un impegno collettivo per la giustizia e l’uguaglianza per tutti. Inoltre, in Europa, e in Occidente in generale, esistono sempre più movimenti che lottano per il riconoscimento e la legalizzazione del “poliamore” cioè una forma di relazione romantica e sessuale consensuale in cui le persone coinvolte, siano esse uomini o donne, possono amare e avere relazioni intime con più di un partner contemporaneamente.
Alle parole di Ousman Sonko hanno poi fatto eco quelle del sociologo Abdou Khadre Sanogo che in un’intervista a Dakaractu ha dichiato che “l’omosessualità non sarà mai accettata in Senegal, qualunque sia il regime politico, perchè non si può imporre una pratica poco accettata dalla comunità. Per Sanogo “nonostante la pressione internazionale e i discorsi sulla tolleranza e la diversità, ognuno deve rimanere attaccato alle proprie convinzioni sociali e culturali”.
Come però è noto, in Senegal, l’omosessualità non è tollerata ma è un crimine. In particolare, l’articolo 319 del Codice penale senegalese definisce l’omosessualità “atto contro natura” punibile con la reclusione da 1 a 5 anni. Certo, il Senegal non è l’unico paese dove l’omosessualità è considerato un crimine. Secondo Amnesty International, nel 2024 sono ancora 31 gli stati africani che criminalizzano i comportamenti delle persone LGBTQIA+, in palese violazione di quelle che sono le norme del diritto internazionale e dell’Unione Africana. A livello globale sono 63 gli stati che criminalizzano l’omosessualità, in 8 di questi è prevista la pena di morte e in altri 9 l’ergastolo. (dati disponibili su https://database.ilga.org/). Ciò che colpisce in questo dibattito è però la giustificazione “culturale, religiosa e di autodeterminazione” data a questo tipo di discriminazione.
Molti paesi giustificano questa violazione della libertà personale invocando il loro diritto di legiferare e accusando l’Occidente di voler imporre i propri ideali e valori. Ma possiamo davvero considerare la vita e la dignità della persona come elementi questionabili e relativizzabili rispetto alla religione o come valori dell’imperialismo culturale occidentale?
A livello mondiale esistono, almeno formalmente, una serie di valori e diritti fondamentali riconosciuti all’individuo in quanto tale, indipendentemente dalla sua appartenenza religiosa, sociale, geografica, etnica o di genere. Sebbene il concetto primordiale di diritti umani sia certamente presente nelle varie tappe storiche dell’esistenza umana e nonostante esistano sistemi regionali differenti per la protezione di tali diritti, è indiscutibile che la prima codificazione formale dei diritti umani come universali, inalienabili e indivisibili sia nata con la Dichiarazione del 1948 adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con lo scopo dichiarato di garantire che gli orrori della Seconda guerra mondiale non si ripetessero.
I diritti umani, quale valore universale, sembrerebbero dunque essere figli di una codificazione frutto di un’esperienza occidentale, benché le atrocità della guerra abbiano poi toccato l’Asia e in modo trasversale anche l’Africa. Se seguissimo la logica di quanto affermato dal primo ministro senegalese, allora, i diritti delle persone LGBTQIA+ avrebbero ragione di esistere solo in quelle culture “sensibili alla questione”.
Tuttavia, non esistono i diritti LGBTQIA+, così come non esistono i diritti delle persone nere o delle persone con disabilità, ma esistono i diritti dell’essere umano in quanto tale perchè, come scritto nella la Dichiarazione del 1948, i cui principi sono ripresi nella Carta africana dei diritti dell’uomo del 1981“ tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti senza alcuna distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, d’opinione politica e di qualsiasi altra opinione, d’origine nazionale o sociale, che derivi da fortuna, nascita o da qualsiasi altra situazione”.
L’orientamento sessuale, contrariamente a quanto dichiarato da alcuni, non è una pratica, ma è un elemento intrinseco dell’essere umano, non ne cambia la natura. Una persona LGBTQIA+ resta una persona. Dire che i diritti umani devono essere declinati rispetto alla cultura e alla religione è estremamente pericoloso. Se si accetta che i diritti umani debbano tenere conto delle credenze culturali o religiose si potrebbe tranquillamente affermare che il razzismo e lo schiavismo debbano essere tollerati in quanto espressione di certe credenze e “valori” socio-culturali.
Allo stesso modo si potrebbero giustificare l’abilismo (cioè la discriminazione delle persone con disabiltà), il sessismo e qualsiasi altra forma di discriminazione semplicemente perché radicata in alcune culture. Questo approccio potrebbe portare a una relativizzazione dei diritti umani, dove il rispetto per la diversità culturale viene utilizzato come pretesto per negare diritti fondamentali a determinati gruppi di individui.
La religione o la cultura non dovrebbero avere il diritto di ledere i diritti fondamentali delle persone. È vero che nella storia ci sono stati casi in cui istituzioni religiose hanno legittimato pratiche dannose come lo schiavismo e il razzismo. Tuttavia, questo non significa che tali pratiche siano sacre o giustificate e infatti tutta la comunità internazionale le ha riconosciute come inaccettabili.
L’idea che la religione sia sacra non implica automaticamente che il razzismo o lo schiavismo siano sacri. Al contrario, molte persone religiose e istituzioni religiose hanno e stanno lavorando attivamente per superare tali posizioni, promuovendo valori di uguaglianza, giustizia e dignità per tutti.
I valori sono importanti e riflettono le nostre convinzioni personali. È importante interrogarsi sui valori che si abbracciano e riflettere sul modo in cui essi si relazionano ai principi di giustizia e rispetto per gli altri.
In conclusione, è evidente che il dibattito sui diritti umani e la loro universalità continuerà a essere un argomento cruciale, ma un aspetto spesso trascurato è che la criminalizzazione dell’omosessualità affonda le sue origini nel colonialismo (Han, E. and O’Mahoney, J. Orcid British Colonialism and the Criminalization of Homosexuality, 2014). Prima di allora, molte culture africane tradizionali avevano atteggiamenti tolleranti e pacifici rispetto a relazioni tra persone dello stesso sesso.
L’omofobia potrebbe quindi essere letta paradossalmente come una difesa dei valori coloniali, mentre la difesa dei diritti umani è certamente un’affermazione dell’anticolonialismo.
Foto di apertura: AFP