La pace è arrivata nel Tigray? È presto per dirlo, ma qualche spiraglio pare aprirsi. Il cessate-il-fuoco proclamato dal governo federale etiope e la successiva tregua ordinata dai vertici del Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf) ha aperto una parentesi in un conflitto che è iniziato nel novembre 2020. Formalmente è solo un momento di sosta per permettere agli aiuti umanitari di raggiungere le regioni settentrionali che sono state sconvolte dai combattimenti e vivono in una situazione di grave carenza di cibo e farmaci. Dietro questi pronunciamenti, però, alcuni osservatori leggono una stanchezza da parte di entrambi i contendenti.
di Enrico Casale
È da alcune settimane che il governo federale, guidato dal premier Abiy Ahmed, chiede l’apertura di un confronto per riportare la stabilità nelle regioni settentrionali. Il 23 febbraio primo ministro, interpellato sulla veridicità di voci circa negoziati tra governo e Tplf, ha risposto: «Non ci sono ancora stati dei negoziati, anche io ho sentito voci su negoziati in corso. Ma non ci sono stati finora. Questo non esclude la possibilità di discussioni».
Stando a quanto riportato dall’agenzia Ena, Abiy ha quindi rimarcato la necessità di percorrere tutte le strade utili per garantire pace, ma anche sovranità del Paese: «Dal momento che investiamo i nostri soldi e sacrifichiamo le nostre vite per rafforzare l’Etiopia e garantire una pace duratura, è importante accettare i negoziati, reprimendo le nostre emozioni». Nel suo intervento Abiy ha però ricordato che «la regione del Tigray è parte del nostro Paese».
Il parlamento etiope ha annunciato la creazione di una Commissione per il dialogo nazionale, composta da undici membri, volta a presentare proposte utili a mettere fine alle tensioni tra gruppi etnici e politici del Paese e al conflitto in atto nel Nord. Abiy ha rimarcato come compito di «questa piattaforma sarà guarire la nostra storia ferita e dare forza al paese che stiamo costruendo. I commissari della nuova Commissione per il dialogo nazionale hanno semplicemente il compito di presentare proposte. Spetterà poi al popolo etiopico prendere le decisioni finali».
Da parte sua, il Tplf ha posto come condizione per avviare i colloqui di pace con il governo il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione della regione settentrionale del Paese, come previsto dalla Costituzione federale etiope. «Il futuro del Tigray sarà deciso dai tigrini attraverso un referendum come garantito dalla Costituzione etiope», ha detto Debretsion Gebremichael, leader del Tplf, in un discorso tenuto alla televisione di Macallè.
A livello regionale, non tutti però lavorano per la pace. Non certo l’Eritrea che vede nell’instabilità dell’Etiopia, un’opportunità per controllare la regione di confine (con propri soldati di stanza addirittura all’interno dell’Etiopia) e, allo stesso tempo, un modo per punire i vicini tigrini con i quali i rapporti sono stati piuttosto tesi negli ultimi vent’anni. Anche l’Egitto ha interesse a mantenere un’Etiopia debole. L’obiettivo è di non permettere la conclusione della Grande diga del millennio, gigantesco sbarramento idraulico che minaccia (secondo Il Cairo), l’autosufficienza idrica dell’Egitto.
A livello internazionale si stanno muovendo dietro le quinte sia le Nazioni Unite sia l’Unione africana. Entrambe stanno cercando di mediare per la pace. Il segretario generale dell’Onu ha più volte lanciato appelli per un’immediata cessazione delle ostilità, compresi gli attacchi aerei, e affinché tutte le parti si attengano ai propri obblighi ai sensi del diritto umanitario internazionale per facilitare l’accesso umanitario e garantire la protezione dei civili, compresi gli attori umanitari, i locali e i siti.
Stati Uniti e Unione europea hanno salutato con favore la tregua. In una nota, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha affermato che il suo Paese accoglie con favore la decisione del governo etiope di dichiarare la cessazione dell’ostilità e ha affermato che «la dichiarazione dovrebbe essere seguita da un aumento delle operazioni umanitarie». L’Ue si è detta pronta a sostenere il rapido afflusso degli aiuti umanitaria a tutti coloro che ne hanno bisogno». Washington e Bruxellex da mesi stanno lavorando a favore di un’intesa di pace per garantire stabilità in una regione che sta vivendo crisi storiche, come quella della Somalia.