di Marco Trovato – foto di Soma / Shutterstock
Entrare in mare con una tavola può essere un gesto rivoluzionario… se a compierlo è una giovane donna che per la prima volta in vita sua fa qualcosa per sé stessa, infrangendo le regole oppressive di una società patriarcale. Con l’aiuto di una scuola di surf molto speciale.
La chiamano “Praia das Sete Ondas”: Spiaggia delle Sette Onde. È una falce di sabbia color nocciola incorniciata dal verde delle palme da cocco. Dall’alto sembra una scheggia di paradiso. Con la sua forma a mezzaluna abbraccia l’Oceano Atlantico creando un’ampia baia sulla costa orientale dell’isola di São Tomé. Nei weekend la spiaggia si riempie di famiglie che fanno picnic, mentre in settimana è un luogo di ritrovo per dozzine di giovani. Vengono qui per tuffarsi nell’acqua calda, giocare a pallone, ascoltare musica reggae e rap, cimentarsi nelle acrobazie della capoeira. Soprattutto per cavalcare le onde. «È un posto perfetto per imparare a scivolare tra i flutti», spiega Andrea Bagnoli, 29 anni, istruttore di surf originario di Genova finito a lavorare in questo angolo sperduto d’Africa situato sulla linea dell’Equatore nel Golfo di Guinea, a circa 250 chilometri dalla costa continentale. «La spiaggia ha un fondale di sabbia morbida, senza scogli pericolosi, ed è orientata in modo tale da prendere i venti e le correnti che soffiano costantemente da sud-ovest».

L’impatto sociale
Andrea si è trasferito per qualche mese a vivere nel villaggio di pescatori di Santana, dove collabora con Soma (Surfistas Orgulhosas na Mulher d’África), un’organizzazione non governativa che usa il surf per favorire lo sviluppo personale e supportare l’emancipazione delle donne africane. L’associazione, composta in gran parte di donne, è sbarcata nel 2020 a São Tomé con la sua fondatrice, Francisca Sequeira, 32 anni, attivista portoghese con studi in pubblicità e marketing ed esperienze lavorative nel settore dei viaggi e del turismo. «Il surf può essere molto più di uno sport acquatico», spiega Francisca. «Attraverso la sua pratica è possibile promuovere l’inclusione sociale di ragazzine altrimenti relegate a vivere nell’ombra, sottoposte alla cultura maschilista e patriarcale che ancora prospera in queste isole».
Malgrado la sua natura generosa – foreste prorompenti e acque ricche di pesci – São Tomé è un Paese povero e sottosviluppato che resta a galla solo grazie agli aiuti internazionali.
Il 67% della sua popolazione vive sotto la linea della povertà e deve ingaggiare ogni giorno una dura lotta per mettere assieme il pranzo con la cena. Le donne si fanno carico dei lavori domestici più gravosi e compiono il miracolo quotidiano di sfamare e tenere assieme la famiglia. Fin dalle prime ore del mattino le vedi faticare coi neonati fasciati sulla schiena: recuperano in foresta la legna per cucinare, scendono nei letti dei fiumi per lavare i panni e riempire catini d’acqua da bere, vendono sulla strada frutta, verdura e pesce nella speranza di mettere in tasca qualche banconota.
«Tocca a noi donne prendersi cura della casa e dei figli, e siamo sempre noi a dover rinunciare agli studi e alle opportunità lavorative per accontentare i nostri uomini», si sfoga una venditrice di canna da zucchero al mercato di Bobo Forro. «Ci spacchiamo la schiena tutto il giorno mentre i nostri mariti tornano a casa la sera barcollando sfondati dall’alcol. E quando sono ubriachi diventano violenti».

Empowerment femminile
I numeri delle statistiche di questa minuscola nazione-arcipelago sono impietosi: solo una ragazza su tre riesce a concludere il ciclo di studi secondario. Il 28% delle adolescenti subisce violenze domestiche. Le gravidanze precoci indesiderate interessano il 27% delle giovani in età puberale (una delle percentuali più alte in Africa) e in genere sono frutto di rapporti extraconiugali, il che produce schiere di ragazze madri costrette a crescere da sole i propri bimbi. «Le donne di São Tomé imparano fin da bambine a dover sottostare alle dure leggi dell’uomo, che precludono qualsiasi ambizione», racconta Francisca. «Non hanno mai tempo libero da dedicare a sé stesse, schiacciate come sono da una perenne condizione di assoggettamento e di sottomissione».
Quando le attiviste di Soma sono giunte a São Tomé hanno scoperto che solo la metà delle ragazze sapeva nuotare, pur vivendo circondate dal mare, e molte avevano persino il terrore di avvicinarsi all’acqua. Con l’arrivo del surf la paura è sparita. Decine di giovani tra i 10 e i 18 anni hanno iniziato a frequentare le lezioni gratuite di surf, per la prima volta riservate al sesso femminile. «All’inizio c’era curiosità e timidezza», ricorda Francisca. «Poi l’entusiasmo è stato travolgente e contagioso», al punto che Soma ha organizzato due campionati nazionali femminili ed è riuscita a inviare una rappresentante di São Tomé ai campionati continentali che si sono svolti in Liberia. Ciò che più conta tuttavia è che per molte ragazze il surf ha avuto un effetto terapeutico e liberatorio.
«Poco alla volta hanno cominciato a prendere coscienza di poter diventare tutto ciò che sognano e che aspirano ad essere», sostiene la fondatrice di Soma, che oltre a promuovere l’attività sportiva ha avviato numerosi programmi di educazione, di sviluppo e di empowerment femminile. «Assicuriamo alle nostre allieve un pasto quotidiano, supporto psicologico e nello studio, attrezzatura e indumenti, materiale scolastico e il pagamento delle rette d’iscrizione».

La filosofia del surf
Entrare in mare con una tavola da surf può essere un gesto rivoluzionario. Specie se a compierlo è una giovane donna che per la prima volta in vita sua fa qualcosa per sé stessa e si ritaglia del tempo per un piacere personale. «Sono felice di essere coinvolta in questo programma di surfterapia che cambia la vita delle donne», confida Rosy Felíx, originaria di São Tomé, responsabile del settore “cultura e comunità” di Soma. «Il surf può essere visto come una sorta di metafora della vita», argomenta Andrea Bagnoli. «È uno sport che obbliga ad accettare i propri limiti e a convivere con l’incognito: è la natura, su cui non abbiamo controllo, che decide se e quando arriverà l’onda. Può essere frustrante dover aspettare un tempo indefinito, ma insegna a prepararsi, a cogliere l’attimo, a rompere gli indugi e superare le paure. In acqua come sulla terraferma. Il surf alimenta la voglia di emergere, la sete di riscatto. Prima che arrivasse Soma i ragazzi cavalcavano le onde con pezzi di legno mentre le loro coetanee stavano a guardare sulla spiaggia. Oggi anche loro vanno in mare con le loro tavole. Hanno rotto un tabù e senza nemmeno accorgersene stanno lottando contro la disuguaglianza di genere».
«Ora so quanto valgo»
Convincere i genitori delle ragazze a lasciarle libere di surfare non è stato facile. «Ancora oggi persistono delle resistenze in certi ambienti familiari», rivela Andrea. La libertà conquistata dalle figlie fa paura. «È comprensibile. Il surf aiuta a prendere consapevolezza dei propri mezzi e incoraggia a superare i limiti, non solo quelli personali… ma anche quelli imposti dalla società». Gli effetti già si vedono. «Grazie a Soma ho imparato il significato della parola “rispetto” e a farmi forza», dice Constantina, 18 anni. «All’inizio avevo paura del mare, ma ho trovato il coraggio… Assieme alle mie amiche ora so di poter realizzare ciò che voglio». Le fa eco Maury Silva, 13 anni: «Da quando faccio surf ho preso coscienza delle mie capacità e delle mie possibilità. E i benefici li vedo anche nel rendimento a scuola». Appare quanto mai determinata Celina, 18 anni: «Prima che iniziassi a surfare facevo tutte le faccende di casa da sola, pensavo fosse giusto così, che fosse un compito riservato alle donne. Adesso chiedo aiuto ai miei fratelli».

Un progetto da sostenere
Alcuni genitori hanno cominciato a lamentarsi. «Dicono che le figlie non vogliono più aiutare in casa, sostengono che si rifiutano di lavare i panni al fiume o di raccogliere la legna», rivela Andrea Bagnoli. «È una questione delicata. Il riscatto delle donne va certamente incoraggiato e sostenuto, ma per promuovere un cambiamento reale e duraturo è necessario coinvolgere le famiglie e l’intera comunità. Non a caso organizziamo riunioni periodiche per i genitori dove affrontiamo il tema dell’educazione e dell’emancipazione delle figlie. Il surf è, al tempo stesso, istinto e disciplina, libertà ed equilibrio».
Non resta che affiancare e supportare il percorso intrapreso dalle ragazze del surf. Sul sito web di Soma (somasurf.org) e sulla piattaforma GoFundMe è attiva una campagna di crowdfunding per acquistare un mezzo da destinare al trasporto delle allieve. Chi lo desidera inoltre può donare kit scolastici (zaino, penne, matite), impermeabili antipioggia, assorbenti e biancheria intima (la mancanza di risorse per gestire il ciclo mestruale alimenta i fenomeni della dispersione ed esclusione scolastica), oppure contribuire alla realizzazione di un surf club – un ambiente tranquillo, sicuro, ordinato e pulito – dove le ragazze possano ritrovarsi, utilizzare computer, leggere libri e studiare… per imparare a cavalcare la vita.
Questo articolo è uscito sul numero 5/2024 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.