Di Francesco Bortoletto – Centro studi AMIStaDeS
In reazione all’aggressione russa all’Ucraina, l’UE sta cercando di diversificare le proprie forniture energetiche in modo da ridurre la sua dipendenza dagli idrocarburi di Mosca. Quanto al gas naturale, i Ventisette potrebbero considerare le abbondanti risorse del continente africano. Ma è più semplice a dirsi che a farsi, perché diversi problemi si pongono sulla via: su tutti, la carenza infrastrutturale e la mancanza di investimenti.
L’aggressione russa dell’Ucraina ha innescato una serie di reazioni a catena che avranno effetti a cascata su una varietà di questioni e ambiti diversi, a tanti livelli. In effetti, per molti versi sta già contribuendo a cambiare il mondo, o almeno la percezione (forse un po’ troppo naïve) che i Paesi dell’Unione Europea avevano del mondo e delle relazioni internazionali fino ad un mese fa.
Uno dei campi in cui Bruxelles si sta muovendo in queste settimane, nel tentativo di recuperare il tempo perduto negli ultimi decenni, è quello della sicurezza energetica. L’imperativo categorico è eliminare gradualmente la dipendenza energetica dalla Russia. Tradotto: interrompere “al più presto” (sic) il flusso di cassa che, attraverso l’acquisto dei carburanti fossili (gas naturale, petrolio e carbone) permette a Vladimir Putin di finanziare la sua guerra.
Ma non si tratterà di un’impresa facile: solo l’anno scorso i Ventisette hanno staccato un assegno da quasi cento miliardi di euro per Mosca, e molti Paesi semplicemente non possono smettere di fare affidamento sulle forniture russe se non vogliono bloccare completamente la propria economia. Naturalmente, i mix energetici degli Stati membri differiscono rispetto al tipo di carburanti che importano: c’è chi dipende dalla Russia per il gas (come Germania e Italia), chi dal petrolio (come l’Ungheria) e chi dal carbone (come la Polonia).
Missione autonomia
Data la sua rilevanza nell’ambito del nuovo Green deal europeo (dove è considerato, nella tassonomia verde, un “combustibile di transizione”), è utile concentrarsi specificamente sul gas naturale. I dati Eurostat indicano che nel 2020 l’UE a Ventisette ha importato il 46% del suo gas dalla Russia (si parla di circa 155 miliardi di metri cubi, o bcm dall’acronimo inglese), il 20% dalla Norvegia e il 12% dall’Algeria.
La Commissione Europea ha messo a punto un piano (REPowerEU) per affrancarsi dalla dipendenza energetica da Mosca. Il pacchetto di misure prevede, nel breve termine, l’aumento delle forniture alternative di gas naturale nonché l’acquisto massiccio di gas naturale liquefatto (gnl), soprattutto dagli Stati Uniti.[i] C’è poi l’aumento delle riserve: oggi lo stoccaggio degli Stati membri fornisce circa il 25-30% del gas che l’UE consuma in inverno, ma Bruxelles vuole il riempimento al 90% entro ottobre ogni anno. Inoltre, si dovrebbero condurre operazioni coordinate di rifornimento tramite appalti congiunti, raccolta di ordini e forniture.
Su quest’ultimo punto si stanno spendendo in queste settimane i governi di Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, che a Roma hanno concordato la “via mediterranea al gas”, ossia una strategia imperniata su tre punti: acquisto e stoccaggio comuni, tetto massimo ai prezzi d’importazione del gas e separazione di questi da quelli dell’energia elettrica. Il fronte dei membri meridionali ha ribadito queste proposte, che pare abbiano l’appoggio della Commissione, al Consiglio europeo del 24-25 marzo a Bruxelles.
Il gas dall’Africa?
Nella ricerca di produttori alternativi, l’UE potrebbe guardare all’Africa, che ha ampie disponibilità di gas naturale: oltre 630.ooo bcm secondo le stime (la Nigeria è in testa alla classifica con circa 200.ooo bcm di riserve, seguita dall’Algeria con quasi 160.000 bcm e il Mozambico con circa 100.000 bcm). Nuovi giacimenti sono anche stati scoperti recentemente in Senegal, Mauritania e Tanzania. Ma il continente sconta una cronica carenza infrastrutturale, dovuta in larga parte ad investimenti insufficienti e disaccordi politici a vari livelli (sia domestici che regionali).
Spagna e Italia sono i maggiori importatori europei e hanno accordi di fornitura soprattutto con l’Algeria e la Libia. Quest’ultima, ad esempio, è collegata allo stivale tramite il gasdotto Greenstream, un serpente metallico sottomarino che si snoda per 520 km a oltre 1100 m di profondità. Attraverso di esso, che costituisce la parte finale del più ampio Western Libya Gas Project, Tripoli pompa una media di 11 bcm di gas all’anno verso la Sicilia.
Ma nel Nordafrica occidentale, la parte del leone nell’export di gas naturale all’Europa la fa l’Algeria. Al momento, Algeri fornisce all’Italia oltre 30 bcm di gas annui tramite il Transmed, intitolato allo storico fondatore di Eni Enrico Mattei. Il gasdotto, lungo 2475 km, parte dalla riserva di Hassi R’mel (Algeria settentrionale), attraversa la Tunisia e la Sicilia e raggiunge quindi la terraferma, arrivando fino in Slovenia. Ci sarebbe poi un altro progetto, il Galsi, che dovrebbe collegare il Paese nordafricano all’Italia tramite la Sardegna (bypassando la Tunisia) ma è al momento in naftalina.
Dopo lo scoppio della crisi ucraina, l’Algeria si è detta disponibile ad aumentare le proprie esportazioni di metano e gnl verso l’UE. Tuttavia, Algeri ha recentemente dimostrato che la geopolitica è importante almeno quanto l’economia: a seguito del deterioramento dei rapporti con Rabat, infatti, lo scorso ottobre ha chiuso il gasdotto Maghreb-Europa, che riforniva la Spagna via Marocco e attraverso lo Stretto di Gibilterra con una capacità di oltre 8 bcm annui. Prima di questa mossa, Madrid importava oltre il 43% del gas dall’Algeria, il che la rendeva il principale partner energetico di Algeri.
Ora che è rimasto in funzione solamente il Medgaz, che rifornisce direttamente la Spagna passando sotto il Mediterraneo, questa quota è scesa a circa il 23% (era 25% a gennaio). E potrebbe essere destinata a scendere ancora, se le alte sfere algerine dovessero ritenere che la giravolta diplomatica del premier spagnolo Pedro Sánchez (che dopo decenni di neutralità ha di fatto riconosciuto la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale) segna un punto di non ritorno nelle relazioni tra Algeri e Madrid. A beneficiare dalla situazione potrebbe essere l’Italia, ma con i piani di acquisto congiunto di gas dell’UE la concorrenza tra Stati membri potrebbe perdere di significato. Ad ogni modo, l’Algeria deve ammodernare profondamente il suo sistema del gas se vuole incrementare la sua produzione per soddisfare una fetta più ampia del fabbisogno energetico europeo.
Dall’altra parte della costa mediterranea dell’Africa, l’Egitto pare intenzionato a non rinunciare alla sua quota di mercato cinese, ma Il Cairo potrebbe contribuire all’import europeo tramite accordi di fornitura con Israele, soprattutto dopo il ritiro dell’appoggio di Washington al gasdotto Eastmed, che avrebbe dovuto collegare Israele alla Grecia via Cipro.
Quanto all’Africa sub-sahariana, il primo esportatore di gas è senza dubbio la Nigeria, che nel 2019 ha fornito all’Europa circa 12 bcm di metano. Due anni fa, il governo nigeriano ha inaugurato il “decennio del gas”, durante il quale intende puntare su questa risorsa energetica in modo prioritario: così, ha avviato la costruzione di un gasdotto che collegherà Ajaokuta, nel sud del Paese, con Kano, 615 km più a nord. Il progetto, del valore di 2 miliardi e mezzo di dollari, è stato finanziato da fondi d’investimento cinesi.
La Tanzania, dal canto suo, ha riserve di gas per circa 57.000 bcm e sta moltiplicando i contatti con le compagnie energetiche per far decollare nuovi progetti di estrazione e distribuzione. Anche il Senegal e la Mauritania stanno lavorando ad un nuovo progetto per l’estrazione di gas, che dovrebbe partire l’anno prossimo e secondo i suoi promotori piazzerà i due Paesi nel pantheon dei produttori africani. Il Senegal ha da qualche anno scoperto riserve di metano per 40.000 bcm e dovrebbe avviare la produzione entro l’anno.
Salto di qualità
Nonostante dunque alcuni Paesi africani abbiano il potenziale per fornire all’Europa almeno parte del metano che Bruxelles non comprerà più da Mosca, la realtà si scontra con la cronica insufficienza infrastrutturale del continente, soprattutto nell’Africa sub-sahariana, dove mancano i gasdotti trans-regionali e intercontinentali. Su questo versante, ad esempio, sono riprese le trattative per costruire il gasdotto trans-sahariano, una colossale opera che dovrebbe collegare la Nigeria all’Algeria via Niger in cantiere dagli anni Settanta ma mai realizzato. Se il gasdotto, noto anche come Nigal (dalle sigle dei Paesi lungo cui si snoderà il tracciato di oltre 4000 km), entrerà in funzione, dovrebbe fornire circa 30 bcm all’anno all’Europa.
C’è da considerare inoltre l’instabilità politica della regione, che minaccia la sicurezza delle forniture e delle stesse reti infrastrutturali. Il Mozambico, ad esempio, potrebbe disporre di circa l’1% delle riserve mondiali di gas (circa 2800 bcm), ma il conflitto nella provincia di Cabo Delgado, al confine con la Tanzania, ha impedito il decollo di un progetto da 50 miliardi di dollari. Allo stesso modo, nel delta del Niger, area ricca di gas, le esplorazioni dei giacimenti di idrocarburi sono rallentate dagli episodi di violenza tra bande armate.
Sicurezza a parte, comunque, la sfida energetica passerà soprattutto per la costruzione di una vera rete continentale, che allacci i gasdotti del nord con l’Africa sub-sahariana. Un salto di qualità che ha bisogno da un lato di massicci investimenti (sia pubblici che privati, sia locali che esteri) e dall’altro di una revisione dei regimi fiscali che regolano le attività delle compagnie energetiche, in modo da incentivare gli interventi nel settore. Un aiuto potrebbe venire anche dalla stipula di accordi bilaterali con i Paesi consumatori, che potrebbero avere l’interesse a far sviluppare l’industria energetica dei loro fornitori. La Cina, come sappiamo, ha visto lungo su questo aspetto.
Al netto dell’aumento della produzione africana, comunque, anche l’Europa deve potenziare il proprio network infrastrutturale se vuole utilizzare più ampie quantità di gas dall’altra sponda del Mediterraneo. Ad esempio, il gas che arriva in Italia è facilmente trasportabile negli Stati membri centro-orientali (i più bisognosi di sostituire il metano russo), ma per quello che arriva nella penisola iberica manca un collegamento efficace al resto del continente, attraverso i Pirenei. Il progetto Midcat, che era stato pensato per ovviare a questo problema, è stato bloccato nel 2018: se Bruxelles intende fare di Spagna e Portogallo l’hub energetico dei Ventisette, dovrà probabilmente ripartire da lì.
Import gas UE 2020/21 (Eurostat) https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=File:Extra_EU_imports_of_natural_gas_from_main_trading_partners,_2020_and_first_semester_2021.png
El Confidencial, Argelia quiere alargar la crisis con España hasta que Sánchez vuelva a la neutralidad en el Sáhara https://www.elconfidencial.com/espana/2022-03-21/argelia-quiere-alargar-crisis-espana-sanchez-neutralidad_3394957/
Sicurezza Internazionale, È ufficiale: l’Algeria chiude il gasdotto che passa per il Marocco https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/11/02/ufficiale-lalgeria-chiude-gasdotto-passa-marocco/
Il Sole 24 Ore, Draghi e la via “mediterranea” del gas. L’alleanza tattica con Spagna, Portogallo e Grecia https://www.ilsole24ore.com/art/draghi-e-via-mediterranea-gas-alleanza-tattica-spagna-portogallo-e-grecia-AEKoc2KB?refresh_ce=1
How we made it in Africa, Ukraine crisis: Could Africa become Europe’s next gas station? https://www.howwemadeitinafrica.com/ukraine-crisis-could-africa-become-europes-next-gas-station/140820/
DW, Europe looks to Africa to fill natural gas gap https://www.dw.com/en/europe-looks-to-africa-to-fill-natural-gas-gap/a-61017873
Al-Jazeera, Analysis: Can African gas replace Russian supplies to Europe? https://www.aljazeera.com/economy/2022/3/1/analysis-can-african-gas-replace-russian-supplies-to-europe
[i] Quello del gnl è un altro capitolo importante per i progetti di sicurezza energetica dell’UE. Tuttavia, anche considerando il suo ruolo (per ora) marginale con riferimento alle forniture di gas naturale dai Paesi africani, non viene affrontato in questo articolo.