L’Eritrea oggi celebra l’anniversario dell’indipendenza dall’Etiopia. Si terranno manifestazioni in tutto il mondo, ma molti Paesi hanno vietato gli eventi perché temono che scoppino incidenti tra sostenitori del regime di Isayas Afeworki e gli oppositori.
L’Eritrea ha raggiunto l’indipendenza dopo una lotta, lunga trent’anni, contro l’Etiopia. La nascita dello Stato eritreo aveva suscitato molte speranze sia negli eritrei in patria sia in quelli all’estero. Molti pensavano che Isayas potesse diventare una sorta di Nelson Mandela del Corno d’Africa in grado di costruire un modello di democrazia africana aperta, dialogante e rispettosa di tutte le componenti politiche. In realtà gran parte delle aspettative sono andate deluse. Nel 1998, pochi anni dopo l’indipendenza, l’Eritrea ha combattuto una nuova e sanguinosa guerra con l’Etiopia. Un conflitto scoppiato per una controversia territoriale che ha causato decine di migliaia di morti su entrambi i fronti e che non ha risolto i dissidi fra i due Paesi.
La situazione di aperta tensione tra Asmara e Addis Abeba è servita come pretesto per Isayas per rimandare l’entrata in vigore della Costituzione e le garanzie democratiche per i cittadini. Così Isaias Afewerki ha governato l’Eritrea negli ultimi 33 anni senza tenere elezioni nazionali. Oggi l’Eritrea è uno dei pochi Paese al mondo a non avere una Costituzione. Non è consentita alcuna forma di dissenso politico e di associazione al di fuori del movimento Pfdj al potere. Non esiste più libertà di stampa dalla chiusura dei giornali indipendenti e dall’arresto della maggior parte dei loro redattori e giornalisti nel 2001.
Centinaia di migliaia di giovani eritrei sono fuggiti, molti di questi hanno intrapreso viaggi pericolosi per sfuggire alla coscrizione militare a tempo indeterminato che è il destino di ogni cittadino abile una volta compiuti i 17 anni. Attraverso questo servizio nazionale obbligatorio, l’Eritrea è diventata una delle società più militarizzate al mondo.
Neanche l’accordo di pace siglato tra il premier etiope Abiy Ahmed e il presidente eritreo Isayas Afeworki ha portato la pace tra i due Paesi. Con lo scoppio della guerra in Tigray tra il governo di Addis Abeba e il Fronte popolare di liberazione del Tigray, l’Eritrea si è schierata con il governo federale etiope contro i tigrini. Truppe di Asmara sono intervenute nei combattimenti e hanno occupato porzioni di territorio etiope. La fine delle ostilità tra l’esercito federale etiope e la milizia tigrina nel 2022 non ha portato al ritiro delle truppe eritree dall’Etiopia. Tuttora reparti eritrei controllano aree all’interno dell’Etiopia.
All’estero, intanto, gruppi di migranti eritrei hanno formato una nuova forma di opposizione nella diaspora, con un taglio molto più radicale. Determinati a combattere contro il regime che credono li abbia costretti a lasciare il loro Paese, due anni fa hanno formato un gruppo giovanile militante, noto come Brigata Ni’hamedu. Il loro campo di battaglia sono gli anniversari nazionali filo-governativi e i festival organizzati dalle ambasciate e dalle comunità filo-governative. Da qui sono nati scontri sempre più duri in Canada, Germania, Israele, Paesi Bassi, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti.
Robel Asmelash, presidente della sezione britannica della Brigata Ni’hamedu, intervistato dalla Bbc, afferma che i suoi ritengono che sia giunto il momento di reagire: “Alla gente è stato negato il diritto di esprimere la propria opposizione pacificamente”. Il riferimento è anche al controllo che il regime, attraverso i propri consolati, effettua su gran parte della diaspora.