Le autorità eritree pongano fine al servizio militare nazionale a tempo indeterminato e gli altri Stati riconoscano questo sistema di leva come una violazione dei diritti umani. A chiederlo è Amnesty International a margine della presentazione del rapporto: «Nient’altro che disertori. Come la leva a tempo indeterminato ha creato una generazione di rifugiati».
Questo studio, condotto da Amnesty sulla base di 72 interviste a eritrei fuggiti dal loro Paese dalla metà del 2014, getta nuova luce sulle durissime condizioni in cui si trovano i coscritti e sui metodi brutali usati dai militari contro coloro che cercano di evadere la leva. Sebbene Asmara continui a ripetere che la leva dura solo 18 mesi, di fatto i ragazzi e le ragazze vengono arruolati a 17 anni e costretti a una «naja» a tempo indeterminato. Alcune delle persone intervistate hanno raccontato di essere state sotto leva per oltre 10 anni e addirittura per 15 anni prima di riuscire a lasciare il Paese. Altre hanno riferito che i loro mariti o padri sono arruolati da oltre 20 anni.
Nelle caserme i giovani sono sottoposti a metodi brutali e a violenze continue. Il Governo eritreo sostiene che la leva militare nazionale sia necessaria per ragioni di autodifesa, a causa delle perduranti ostilità con l’Etiopia. Ma i militari vengono poi impiegati in ambiti diversi come l’agricoltura, le costruzioni, i servizi pubblici. Spesso al servizio degli ufficiali superiori.
«Chi si allontana senza autorizzazione rischia il carcere e, se non viene ritrovato, sono i suoi familiari a essere imprigionati – osservano i ricercatori di Amnesty International -. Il servizio militare a tempo indeterminato ha conseguenze negative anche sugli adolescenti. Molti di loro abbandonano gli studi per evitare l’arruolamento, mentre le ragazze si sposano precocemente sperando che questo le esenti dalla leva. Altri ragazzi, per via della lunga leva cui sono sottoposti i genitori, devono prendersi la responsabilità della sopravvivenza economica delle loro famiglie».
Per questi motivi i giovani militari cercano di fuggire. Ma la fuga comporta rischi altissimi. «Chi viene preso dopo che ha abbandonato la leva o ha cercato di evitare il servizio militare anche provando a lasciare il Paese – continuano i ricercatori -, viene arrestato e detenuto, a volte a tempo indeterminato, in condizioni agghiaccianti. I detenuti sono spesso tenuti in celle sotterranee o in container. Lo stesso destino attende molti di coloro che vengono rimandati in Eritrea dopo che la loro domanda d’asilo è stata respinta».
Nonostante questo, sempre più spesso, gli Stati europei rifiutano le loro richieste d’asilo. «La situazione cui vanno incontro le persone arruolate in Eritrea – concludono i ricercatori – è disperata e smentisce le bugiarde affermazioni fatte da alcuni Paesi d’arrivo, secondo cui molti eritrei che si presentano alle loro frontiere non sono altro che migranti economici. Gli Stati europei devono riconoscere loro il diritto d’asilo per motivi umanitari».