di Stefania Ragusa
Nel 1934, con il titolo Afrique Fantôme, esce in Francia il diario di Michel Leiris, diario che racconta la Dakar-Gibuti, missione fortissimamente voluta da Parigi per allinearsi a Londra e Bruxelles nel campo delle esplorazioni etnografiche dell’epoca e recuperare materiale per le collezioni museali. Il libro ebbe vita difficile. Fece infuriare il capo missione Marcel Griaule, che lo intese come un attacco al suo metodo di lavoro e alla validità scientifica dell’antropologia; fu contestato dal mondo accademico; venne infine bandito negli anni della Repubblica di Vichy.
Griaule, astro nascente della neonata antropologia francese, riteneva che per ottenere le “prove” documentali necessarie alla ricerca tutto fosse lecito e il ministero delle Colonie aveva d’altra parte accordato una licenza di cattura estesa all’intero territorio attraversato. Leiris, poeta surrealista prestato all’etnologia, aveva in mente altro. Guardava all’Africa come al continente primitivo cui rivolgersi per vivificare la propria anima in antitesi con il materialismo e la vacuità dell’Occidente. Si rese conto ben presto, però, il diario ce lo rivela a ogni pagina, che quell’Africa vagheggiata e idealizzata non esisteva… Il dibattito sulla restituzione del patrimonio culturale e artistico sottratto al continente ha riportato Leiris in auge in Francia negli ultimi anni. E anche in Italia si sta tornando a parlare di lui.
Pubblicato nel 1984 da Rizzoli e ormai introvabile, Afrique Fantôme è stato riproposto da Quodlibet-Humboldt in un’edizione curata da Barbara Fiore e intitolata L’Africa fantasma (2020, pp. 750, €34). A firma di Renzo Guolo, Meltemi ha invece, portato in libreria Michel Leiris etnologo (2022, pp. 274, €22), che sottolinea il contributo reso da questo intellettuale poliedrico all’antropologia e alla ricerca africanista.