Mentre vanno in scena le Olimpiadi di Tokyo, vi riproponiamo il racconto di quando abbiamo fatto visita a Enos Mafokate, il leggendario fantino che ha riscritto la storia del Sudafrica. Cresciuto tra le baracche di una township ai tempi dell’apartheid, è stato il primo sportivo nero a rappresentare il Sudafrica in una gara ufficiale, riuscendo a raggiungere persino le Olimpiadi. Ora insegna a cavalcare a bambini e ragazzi poveri, orfani o disabili.
di Valentina G. Milani – foto di Marco Garofalo
«A ripensare a quel momento mi vengono ancora i brividi. Una sensazione strana, in bilico tra agitazione, felicità, soddisfazione e commozione. Una cosa è certa: quella fu la prima volta che sentii di essere pienamente me stesso». Sguardo perso nel passato, sorriso sognante, Enos Mosotho Mafokate, 70 anni, ricorda il giorno in cui fu il protagonista di una vera e propria rivoluzione: divenne il primo il primo sportivo nero a rappresentare il Sudafrica in una competizione internazionale. Era il 19 luglio 1980: quel giorno Enos partecipò in veste di fantino al London Royal International Horse Show, all’apice di una lunga storia iniziata più di trent’anni prima nel Paese dell’apartheid. «A Londra durante la gara saltai con il mio cavallo molti ostacoli insidiosi. Ma l’ostacolo più grande che superai quel giorno era invisibile e si chiamava “segregazione razziale”».
La vita su un piatto
Incontriamo Enos Mosotho Mafokate nel Soweto Equestrian Centre che ha fondato nel 2007. «Qui insegno a cavalcare a bambini e ragazzi provenienti dai quartieri più difficili della township», dice cercando di sovrastare, con la propria voce, il mix di suoni che ogni giorno animano il maneggio: le grida divertite dei più piccoli, le indicazioni decise degli istruttori e il rumore degli zoccoli che colpiscono il terreno. «La passione per l’ippica, se coltivata, può portare molto lontano», aggiunge convinto mentre ci mostra un piatto di ceramica su cui è inciso un suo ritratto con le date più significative della sua vita. Enos regge il soprammobile con estrema cura, come se quell’oggetto-reliquia custodisse i segreti della sua esistenza. «Al 1980 ci sono arrivato dopo tanti sacrifici e non poca sofferenza», ricorda Enos, sfiorando la data incisa sul piatto.
Passione nascosta
«Sono cresciuto nella township di Alexandra tra umiliazioni, sacrifici ed emarginazione. La prima volta che vidi un cavallo avevo 12 anni. Mi ero appena trasferito con la mia famiglia a Rivonia, un sobborgo di Johannesburg. Mio papà era un muratore, la mamma una domestica. Possedevamo un asino che amavo cavalcare. Il nostro padrone di casa, un latifondista bianco di nome John Walker, aveva una scuderia. Io feci amicizia con suo figlio: lui desiderava montare il mio asino, io uno dei suoi meravigliosi purosangue. Iniziammo a scambiarci gli animali! – ricorda sorridendo –. I miei genitori ogni volta che mi vedevano salire sul cavallo del mio amico mi sgridavano. Io allora ero solo un bambino e non capivo. Loro però sapevano che cosa sarebbe successo se i proprietari della fattoria ci avessero scoperti: all’epoca l’amicizia tra bianchi e neri era vietata per legge».
Tra divieti e imposizioni, Enos inizia comunque a farsi strada nel mondo dell’ippica. Nel 1961 viene assunto come stalliere in una grande tenuta di Springbok. Il proprietario era Tony Lewis, un campione di salto ostacoli. «Seguivo tutte le sue competizioni da dietro le quinte – continua a raccontare Enos –. Avrei voluto cavalcare anch’io, ma ai quei tempi i neri erano relegati nel ruoli di maniscalchi e stallieri. I fantini erano tutti bianchi».
Invito da Londra
Mafokate, dopo una breve pausa, ruota leggermente il piatto e indica con le sue lunghe dita affusolate il 1975. «Questo è l’anno in cui riuscii a entrare al Marist Brothers College, l’unica istituzione che permetteva ai neri di praticare l’ippica». Enos colleziona una serie di vittorie e di primati. La sua mano scivola sul 1977: «Quell’anno arrivai primo al Constantia Showgrounds di Città del Capo Town e nel 1978 fui il primo nero a gareggiare al Royal Horse Show di Pietermaritzburg: i miei sponsor minacciarono di tirarsi fuori dalla competizione se non mi avessero fatto gareggiare», racconta Enos.
Nel 1980 il nome di Enos comincia a essere conosciuto nel mondo dell’equitazione. David Broome, campione britannico di salto con gli ostacoli, lo invita ad una delle gare più prestigiose di Londra. Le autorità di Pretoria, già sotto tiro della comunità internazionale, preferiscono non attirarsi nuove critiche: lo autorizzano a partecipare. «Fui il primo sudafricano nero a gareggiare in una competizione internazionale dopo che per vent’anni il regime ci aveva negato qualsiasi opportunità. Un evento epocale, per me e per la storia del mio Paese», sorride Enos, mentre i suoi occhi lucidi fissano quel numero sul piatto. E mentre l’apartheid volge quasi al termine grazie alla liberazione di Nelson Mandela, Enos raggiunge un altro importante traguardo: i Giochi olimpici di Barcellona del 1992. «Il coronamento di un sogno lungo una vita».
L’ultimo sogno
Oggi il “cavaliere nero” è un mito per le centinaia di giovani che frequentano il suo centro di equitazione nel cuore di Soweto. «Alcuni dei miei allievi dimostrano talento e passione, altri cercano semplicemente di fuggire per qualche ora dalla vita disastrata cui sono costretti». Enos e i suoi collaboratori tengono ogni giorno lezioni di salto ostacoli, endurace, dressage, volteggio, cross country. «A chi non può permettersi di pagare, facciamo lezione gratuitamente. Abbiamo anche una serie di corsi per disabili».
Mafokate osserva un gruppo di bambini che si esercitano a fare le acrobazie più disparate. «La vita mi ha regalato grandi soddisfazioni, ma anche tante delusioni – sospira –. Questo non è il mondo che sognavo. Anche se l’apartheid è finita da anni, l’ingiustizia sociale continua a infierire. Nelle township dilagano povertà, disoccupazione, aids, criminalità. I giovani crescono in un mare di problemi. Spero solo che qualcuno riesca a lasciarselo alle spalle in sella a un cavallo. E magari arrivi fino alle Olimpiadi».
(Valentina G. Milani – foto di Marco Garofalo)
Questo articolo è uscito sul numero 6/2016 della rivista. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop