di Diego Mwanza Cassinelli
Luangwa Feira è una piccola cittadina dello Zambia. Si trova nel distretto di Lusaka, a circa 350 chilometri dalla capitale. Prima dell’indipendenza dello Zambia, ottenuta il 24 Ottobre del 1964, era conosciuta solamente come Feira, parola portoghese che significa mercato. Fu poi rinominata Luangwa, dal nome di uno dei due fiumi sul quale si affaccia. Luangwa infatti sta su una punta di terra a sud-est del Paese, esattamente dove il Luangwa e lo Zambesi confluiscono per proseguire verso il Mozambico, mantenendo il nome Zambesi. Luangwa Feira è un luogo di confine, da una parte del fiume si vede il centro abitato di Zumbo, in Mozambico e dall’altra sponda l’insediamento governativo di Kanyemba nello Zimbabwe.
Il tempo trascorre senza le grandi pretese della capitale. Lusaka ha imparato ad andare veloce. Qui, dove due fiumi si abbracciano e tre paesi si guardano negli occhi, il tempo ha un suo ritmo, dettato dal vento, dalla corrente dell’acqua e dal clima.
È ottobre, il mese più caldo di questa regione d’Africa. Sulla testa pesa un sole senza sconti, lo stesso che butta addosso il colore biondo all’erba e scava rughe aride sulla faccia di un terra dura come roccia. A ottobre tutto scotta, anche l’aria.
Bisognerebbe avere la pelle spessa come gli elefanti per sopportare il sole di questa valle. Nei giorni più caldi, il mercurio nell’asticella può salire fino a quarantotto gradi. Nelle notti d’ottobre cala la luce, ma il sole resta nell’aria, sulla pelle e in tutte le cose che ha toccato con la sua mano greve. Anche di notte il termometro passa i trenta gradi.
Feira è un pezzo di terra e acqua pieno di storia, di bellezza e di mistero. Una storia fatta di lotta per l’indipendenza, di guerra e di resistenza. Una storia di distruzione e costruzione, di occupazione e abbandono, di vite vendute e comprate, di merci in transito e barattate sotto l’ombra di enormi baobab che sembrano divinità ancestrali. Feira in portoghese significa mercato. Qui si faceva merce di schiavi. L’ultima sosta sulle rive del fiume, prima di sparire per sempre.
I portoghesi furono i primi europei ad approdare in questa regione. Ci sono tracce di loro insediamenti a partire dai primi del 1600, successivamente abbandonati.
Feira è stato un crocevia dove passarono inglesi, portoghesi, arabi, boeri e chissà quant’altri. Anche l’esploratore e missionario inglese David Livingstone, nel1858 ci passò durante la discesa dello Zambesi, tre anni dopo aver visto le cascate Mosi oa nel Tunya, impropriamente chiamate cascate Vittoria. La trovò completamente distrutta per mano di Mburuma, il chief della tribù Nsenga Luzi, che abita questa valle dalla notte dei tempi.
Terra di mescolanza di popoli, di esodi, di attraversamenti per trovare vita, come la tribù degli Ngoni, che dalle regioni del sud dell’Africa, nel 1835 guadò lo Zambesi all’altezza di Feira, per salvarsi dalla furia dei guerrieri del re Shaka the Zulu.
Terra di confini naturali, di traffici fatti la notte, dove i due fiumi separano o uniscono Zambia, Zimbabwe e Mozambico, tre nazioni di questo immenso continente. Qui la natura, di una bellezza imponente e potente, a tratti cruda e spietata, rimette l’essere umano al suo posto, ridimensionandolo a una statura che gli appartiene.
Il sole non fa sconti, la natura nemmeno. I due fiumi, Luangwa e Zambesi, sono un esempio di questa imponenza.
Nel buio torbido e torpido del loro ventre vive la principale fonte di sopravvivenza di chi abita le loro sponde: il pesce, da contendersi con altre specie viventi. Il pescatore esce con il suo tronco scavato a canoa, sapendo di dover rispettare il mistero del fiume, fatto di vento che capovolge, di ippopotami che difendono la loro porzione d’acqua, di coccodrilli nascosti sulle rive di canne alte e sabbia bagnata e di elefanti, che scendono da corridoi invisibili, attraversando la savana rovente per rinfrescarsi e bere.
Gli elefanti hanno strade loro, sempre uguali. Sono stampate nella memoria e tramandate come l’uomo fa con le tradizioni. Gli abitanti di Luangwa Feira li vedono attraversare i villaggi da sempre. Quando passano lenti hanno precedenza su tutto e tutti.
Il mondo si siede e aspetta. La convivenza in questa terra passa dal rispetto delle precedenze. Quando tira vento forte, non si pesca, si aspetta che cali. Quando il sole picchia duro, non lo si sfida, si aspetta scenda un poco, e così con gli elefanti, gli ippopotami, la pioggia e le correnti del fiume.
Si rispetta per vivere. Non c’è scelta.
Poco lontano dalla mia stanza, proprio dove i due fiumi confluiscono, c’è il porto dei pescatori, che qui chiamano harbour, con l’energia vitale tipica dei mercati d’Africa. Uno sciame di motorini di tanti colori vanno e vengono trasportando cose e persone. Voci, risate, schiamazzi. È vita! Da qui, arriva e parte tutto il pesce pescato la notte. Sulle bancarelle si possono trovale tilapie e tigher fish di ogni taglia, pesce venduto fresco o essiccato.
L’odore del pesce essiccato è forte ed è il tratto distintivo di questa cittadina. Lo si sente ovunque, dalla stazione, da cui il pesce viene mandato a Lusaka, al mercato principale a consumo locale, alle viuzze tra le case della gente. Questo odore acre e pungente è parte del carattere ruvido e accogliente di Feira.
Le barche azzurre ormeggiate a riva aspettano di uscire proprio nel punto in cui i due fiumi si uniscono senza scambiarsi l’acqua. Una riga netta, come tracciata a matita, a sinistra il Luangwa col colore della terra, a destra il maestoso Zambesi, più limpido e azzurro. Diventeranno uno, mantenendo il nome del più grande, Zambesi, mischiandosi i colori qualche centinaio di metri più in là, quando insieme attraverseranno il Mozambico per regalare il loro mistero all’oceano. Feira è una punta di terra coraggiosa che si lancia tra i due fiumi, come un ultimo saluto, un addio a fazzoletto bianco al vento, un ringraziamento per tutto quello che questi due lunghi compagni di vita, hanno regalato a tutta la terra dello Zambia.
Feira in ottobre è cruda magia.