di Valentina Geraci – Centro studi AMIStaDeS APS
A pochi giorni dalla 110° Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato, in programma il 20 giugno, abbiamo conosciuto e incontrato Y.S. , famoso rapper libico costretto ad abbandonare il suo Paese, dove restare era diventato molto pericoloso tra le accuse fatte a Gheddafi prima e agli estremisti dopo.
Il viaggio di un uomo può essere una storia di rinascita, di fuga, di speranza e di sfide. Y. S. è uno di quegli uomini. Originario della Libia e un tempo famoso rapper, ha dovuto lasciare il suo Paese per raggiungere l’Europa in cerca di una nuova vita e di nuove risposte. Attraversando la fuga e il mare, Y. ha affrontato ostacoli tanto fisici quanto emotivi, portando con sé il peso del suo passato e speranze incognite per il futuro. Lungo il cammino ha incontrato solidarietà e sostegno, ma anche tante ostilità. Oggi il suo coraggio e la sua determinazione continuano a guidarlo verso un destino incerto, ma sicuramente pieno di fiducia.
La musica resta una scommessa, e la sua più grande passione.
A pochi giorni dalla 110° Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato, in programma il 20 giugno, abbiamo conosciuto e incontrato Y.S., famoso rapper libico costretto ad abbandonare il suo Paese, dove restare era diventato molto pericoloso tra le accuse fatte a Gheddafi prima e agli estremisti dopo. A distanza di circa dieci anni dal suo arrivo in Italia e dalla sua richiesta di protezione internazionale, Y. M. cerca ancora il suo spazio. L’Italia, come molte altre nazioni europee, è un punto di approdo per tanti migranti che giungono per vie non regolari e chiedono al nostro paese protezione.
Tuttavia, per molti di loro, la speranza di una nuova vita è temporaneamente sospesa, intrappolata nei lunghi e complessi processi burocratici necessari per ottenere un permesso di soggiorno.
Questo periodo di attesa rappresenta una sorta di limbo esistenziale, in cui il tempo sembra essere rubato alle loro vite e alle loro identità, a passioni di ciascuno e a investimenti per la propria vita personale e professionale. Le conseguenze sono spesso pesanti. Altre volte devastanti. Altre ancora alienanti.
Puoi descrivere il momento in cui hai deciso di lasciare la Libia? Cosa ti ha spinto a prendere questa decisione?
Ero spaventato per la mia vita. Ero stanco di tutta l’ipocrisia di quella società.
La decisione di lasciare la Libia è legata a un momento di estrema difficoltà e conflitto interiore. Mi sentivo disorientato. La paura per la mia vita, a causa della crescente instabilità politica e sociale del Paese, ha giocato un ruolo determinante. In più, stanchezza e insoddisfazione per le tante ingiustizie presenti mi hanno convinto ancor di più ad andare via.
A un certo punto ricordo che fuggire fosse diventato per me quasi un imperativo. Ero stanco di quel modo di pensare e di tutti quei dogmi messi lì, a limitare la tua crescita e a privarti di opportunità personali. Sentivo che era necessario cercare un ambiente più favorevole, dove potessi vivere senza continue paure per me, per la mia vita, per i miei progetti personali e dove poter essere liberamente un artista.
Ho fatto rap contro Gheddafi e ho condannato forme di estremismo, conflitti, questi dogmi. Non potevo più restare. E una notte, in uno di quei gommoni che qui i media ripropongono più volte a giorno nelle televisioni, beh ci son salito anche io.
Artista, attivista, ambizioso. Ma troppo “ingombrante” per continuare a scommettere sul futuro di quel Paese restando lì.
Di cosa parlavano i tuoi testi? Quale il ruolo della musica nella tua vita?
I miei testi affrontavano una vasta gamma di temi, dalla critica sociale alla situazione politica, fino alla satira su tradizioni locali.
Spesso nei miei testi cercavo di stimolare una riflessione e l’analisi critica degli aspetti più controversi della società. Erano scelte forti, affatto scontate nella Libia del 2011. Troppo forti anche per la Libia di oggi. Ma il potere della musica è enorme. Quello delle speranze di più. La musica è capace di trasmettere messaggi potenti e di unire le persone. È uno strumento interessante per l’attivismo sociale e politico perché riesce a mobilitare e ispirare le persone a lottare per il cambiamento e per una società più giusta ed equa. Abbraccia anche i più giovani, e i loro timori. Attraverso le mie canzoni, ho cercato di dare voce alle esperienze e alle opinioni di tutti coloro che sentivano di non essere rappresentati nel dibattito pubblico. Ma, a un certo punto, sono stato io a trovarmi in una situazione di insicurezza tra svariati attacchi e innumerevoli minacce.
Dovevo andare via e quando la scelta della via legale sembrava essere impossibile, ho accettato di salire su quel barcone che in una notte d’estate mi ha portato in Europa.
Come hai vissuto il passaggio dall’essere un famoso rapper in Libia a diventare un rifugiato in Europa?
È stata un’esperienza umile ma toccante. Iniziare da capo ha richiesto una riflessione molto profonda su tutto ciò che ho vissuto fino a oggi, e ha comportato una serie di sfide emotive importanti. Devo essere onesto: questa esperienza mi ha anche offerto l’opportunità di mettermi in discussione e di riprendere in mano la mia identità: chi sono io? Perché sono qui? Quale è lo scopo nella mia vita? A queste domande ho cercato di rispondere e oggi posso affermare con certezza di essere una persona arricchita dalle esperienze passate e pronta ad affrontare il futuro con altrettanta determinazione. Sicuramente con gratitudine. Negli ultimi tempi, ho conosciuto JobClinic di ItaliaHello e ho dato inizio a un percorso nella ricerca di un nuovo lavoro e per riprendere il mio rapporto con la musica. È bello vedere che ci sono possibilità, anche nell’accoglienza, di essere supportato come singola persona: sono Y.S. e nella vita amo scrivere, amo la musica. Mi piace passeggiare con le cuffie alle orecchie e sono anche una persona forse un po’ timida. Sono questo, non uno dei tanti! Quando sono arrivato in Italia, non conoscevo una parola di italiano. Mi sono trovato in una realtà completamente nuova, piena di sfide linguistiche e culturali. Ognuno ha la sua storia e merita di essere ascoltato. Troppo spesso, non è scontato trovare qualcuno disposto a condividere il tuo carico e ad aiutarti a portare quel bagaglio che ti accompagna. Oggi, più che mai, è evidente quanto sia complesso farsi conoscere e trovare il tuo posto in un nuovo contesto. Non è semplice conoscere persone che si facciano carico delle tue difficoltà, insieme a te.
Hai quindi intenzione di continuare la tua carriera musicale qui in Europa? Stai scrivendo nuovi testi? Di cosa parlano?
Sì, ho intenzione di continuare la mia carriera. La musica è sempre stata una parte essenziale della mia vita e della mia espressione creativa, e desidero continuare a condividerla con il mondo. Sto scrivendo nuovi testi che affrontano tematiche sociali, economiche e politiche, cercando di essere più consapevole e impegnato nel dibattito pubblico. Voglio utilizzare la mia musica come mezzo per stimolare nuove consapevolezze su questioni importanti che affrontiamo nella società contemporanea. Seppur diverse, come in Libia,anche qui in Italia.
La mia esperienza come rifugiato sicuramente influenzerà la mia musica in modo significativo e sono certo che le mie prossime creazioni rifletteranno questo cambiamento. Sarò dentro nuove idee e diverse prospettive.
Quali sono i tuoi pensieri sul futuro della Libia e cosa vorresti vedere cambiare nel paese oggi, a distanza di anni da quando l’hai lasciato?
I miei pensieri sul futuro della Libia sono pieni di speranza e incertezza allo stesso tempo. Riconosco che il cammino verso la stabilità e la prosperità sarà lungo e complesso. Non posso prevedere con certezza quale sarà il destino della Libia, ma spero che il futuro riservi qualche miglioramento.
Vorrei vedere cambiamenti positivi in diversi ambiti. Innanzitutto, spero in un processo di riconciliazione nazionale che promuova l’unità e la coesione tra le varie fazioni e gruppi etnici presenti nel paese. Mi auguro anche un governo stabile e rappresentativo in grado di governare con integrità e responsabilità, garantendo i diritti umani e la giustizia per tutti i cittadini, libici e non.
Mi piace immaginare una Libia che investa anche nel settore dell’istruzione, della sanità e dell’infrastruttura. Una Libia che pensi ai suoi figli, alle generazioni future. Una Libia da cui non dover andare via.