di Valentina Giulia Milani
Almeno 46 località del Burkina Faso sono sotto assedio da parte dei gruppi armati islamisti. In queste località vengono violati diritti e commessi crimini di guerra, come uccisioni di civili, rapimenti di donne e bambine, attacchi a infrastrutture civili e ai convogli umanitari. Lo mette in luce Amnesty International in un report che, pubblicato nei giorni scorsi, rivela i risultati di una ricerca condotta appunto sugli assedi da parte degli estremisti.
Dal 2016 in Burkina Faso è in corso un conflitto armato interno tra le forze governative da un lato e Ansaroul Islam, un gruppo armato affiliato ad al-Qaeda, e lo Stato islamico nel Sahel dall’altro. Il tutto, nel contesto di un più ampio conflitto che coinvolge la zona centrale del Sahel, iniziato nel 2012 in Mali e poi estesosi a Burkina Faso, Niger e ad alcune aree di Benin, Togo, Ghana e Costa d’Avorio. Da allora, in Burkina Faso migliaia di civili hanno perso la vita. Nel 2022, secondo il Database di localizzazione degli eventi nei conflitti armati, ne sono stati uccisi 1418.
La tattica degli assedi, adottata per la prima volta nel 2019 e rafforzata dal 2022, prevede posti di blocco a ripetizione, il collocamento di ordigni esplosivi sulle strade e attacchi contro civili e convogli militari e umanitari.
“Gli assedi, che coinvolgono direttamente o indirettamente un milione di persone, impediscono agli abitanti di coltivare le loro terre e di pascolare il bestiame e limitano l’accesso all’istruzione e ai servizi sanitari: a causa del conflitto sono stati chiusi 373 centri sanitari che servivano un bacino di utenza di tre milioni e mezzo di persone”, si legge nel documento.
Gli assedi sono la causa anche di una profonda crisi alimentare. Un profugo interno, originariamente residente nella città di Djibo, ha raccontato all’organizzazione di difesa dei diritti umani che la popolazione è costretta a mangiare foglie selvatiche, sempre più introvabili, solo raramente accompagnate da un po’ di riso.
Le autorità del Burkina Faso hanno proclamato lo stato d’emergenza già nel 2019. In alcuni casi hanno svolto operazioni militari per tentare di recuperare villaggi, causando danni alla popolazione civile, come a Holdé, quando il 9 novembre 2022 hanno ucciso 49 civili, compresi donne e bambini. Sono stati presi poi provvedimenti, come il divieto di trasferimenti di denaro, che hanno penalizzato l’accesso agli aiuti umanitari.
Infine, è venuta progressivamente a mancare la fiducia tra le autorità e gli attori umanitari: nel dicembre 2022 è stato espulso il Coordinatore delle azioni umanitarie delle Nazioni Unite.